La crisi dovuta all’emergenza Coronavirus ha creato una fase di grande incertezza legale per le imprese rispetto a numerosi ambiti di business. Per cercare di rispondere ai principali dubbi al riguardo ed offrire un riscontro sulle migliori procedure e pratiche da seguire abbiamo intervistato l’Avv. Vincenzo Colarocco dello Studio Previti, che ringraziamo per la gentile disponibilità.
Partiamo dalle inevitabili esigenze di protezione dei dati che possono sorgere davanti alle condotte di prevenzione dal contagio. Quali sono le criticità che si trovano ad affrontare le imprese in questo frangente e quali gli obblighi a cui devono fare fronte i datori di lavoro?
La diffusione del Coronavirus ha comportato la dichiarazione dello stato di emergenza sul territorio nazionale relativamente al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Proprio in ragione del rischio sanitario, le preposte Autorità hanno proceduto alla raccolta di dati personali, anche di tipo sanitario, per ragioni di accertamento e prevenzione (si pensi alla misurazione della temperatura corporea in aeroporto o dello stesso campionamento mediante “tampone”). Inoltre, numerosi provvedimenti, via via più stringenti, sono stati emanati dal Governo e dagli Enti Territoriali italiani in attuazione del Decreto Legge del 9 marzo 2020. La contingenza della prevenzione e del contenimento di quella che è stata da ultimo dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una pandemia non può che comportare il trattamento di dati personali, anche sanitari, da parte delle Autorità competenti, ma anche di tutti i soggetti, pubblici e privati, chiamati a dare attuazione alle nuove misure imposte dall’esecutivo.
Si è così assistito e si assiste alla raccolta sistematica e generalizzata di dati personali, anche particolari (in tale definizione rientrano, infatti, i dati sanitari), e tanto in assenza di adeguata base giuridica e, alle volte, dell’adempimento degli obblighi informativi prescritti dal GDPR. Basti pensare, da ultimo, al “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo 2020 ove sono state tracciate nuove linee guida per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio.
Tra queste rientrano la misurazione della temperatura all’ingresso dell’azienda, la predisposizione di informative privacy sul trattamento dei dati personali, nonché l’adozione e la definizione di misure di sicurezza e organizzative adeguate per la gestione del rischio.
Per quanto concerne invece lo smart working, quali sono le aree di applicabilità e quali le condizioni per l’attivazione?
Fino alla fine dello stato di emergenza, su tutto il territorio nazionale, i datori di lavoro hanno la possibilità di far ricorso allo smart working, anche per coloro che non l’avevano attivato in precedenza
- con riferimento a qualsiasi rapporto di lavoro subordinato;
- anche in assenza di accordo individuale con il lavoratore.
L’attivazione- attraverso una procedura semplificata disponibile sul sito del Ministero del Lavoro - è condizionata in primo luogo, all’invio di idonea comunicazione al lavoratore. Più precisamente, lo smart working potrà essere attivato ricorrendo alla e-mail aziendale e comunicando, tramite la stessa, ai dipendenti e/o collaboratori coinvolti, le condizioni di fruizione dei periodi di smart working nonché, allegando l’informativa concernente le tematiche di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, ma anche all’invio dell’autodichiarazione di avviso di attivazione dello smart working per motivi emergenziali.
Un ulteriore punto di criticità in questo difficile momento riguarda la gestione dei rapporti contrattuali e l’esecuzione dei contratti commerciali. Quali sono i principali problemi derivanti dall’attuale situazione di stallo?
L’epidemia sta influendo notevolmente sulla gestione dei rapporti contrattuali, in quanto l’adempimento delle obbligazioni assunte risulta spesso ostacolato o del tutto impedito o addirittura impossibile da porre in essere. Per valutare se la situazione contingente è tale da giustificare il ritardo o l’inadempimento delle obbligazioni ed elidere la responsabilità dei debitori, bisogna tenere in considerazione una pluralità di fattori, quali, ad esempio, l’applicabilità della legge italiana o di altro ordinamento, l’oggetto dei contratti, i fatti portati a sostegno e l’impraticabilità di soluzioni alternative per l’adempimento.
La pluralità di circostanze fattuali provocate dall’epidemia del COVID-19, c.d. Coronavirus, unitamente agli effetti dei noti provvedimenti adottati a riguardo dal Governo e dalle Istituzioni italiane, stanno ostacolando o impedendo del tutto l’adempimento delle obbligazioni assunte. Sorge, quindi, il problema riguardante le sorti di tali obbligazioni e dell’ applicabilità o meno degli istituti giuridici che tipicamente disciplinano tali situazioni quali, ad esempio:
- l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.);
- l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (art. 1467 c.c.).
Gli effetti giuridici derivanti dalla situazione sopra descritta devono, in ogni caso, essere valutati caso per caso, tenendo in considerazione una pluralità di fattori quali, ad esempio, l’applicabilità della legge italiana o di altro ordinamento alla fattispecie contrattuale, l’oggetto dei contratti, i fatti portati a sostegno del ritardo e/o dell’inadempimento dalla parti, l’impraticabilità di soluzioni alternative per l’adempimento, il contegno tenuto dal debitore e dal creditore, ecc..
A certe condizioni, le sopra citate norme permettono alle parti contrattuali di negoziare nuovi accordi modificativi di quelli originari, al fine di consentire che non vengano del tutto pregiudicati gli obiettivi perseguiti con i contratti affetti da cause impeditive.
Potrebbe quindi offrire un consiglio ai lettori su come comportarsi davanti a contratti la cui esecuzione risulta impossibile per via dell’attuale situazione di emergenza?
Riguardo ai contratti per i quali l’azienda è tenuta ad eseguire una prestazione/erogare un servizio, suggerirei di intraprendere le iniziative quali l’invio di comunicazioni scritte agli altri contraenti per informarli delle ragioni di fatto e/o di diritto che condizionano/condizioneranno o impediscono/impediranno l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte.
Suggerisco di proporre al contempo soluzioni alternative se possibili.
In ordine, invece, ai rapporti contrattuali, rispetto ai quali l’azienda è acquirente/destinataria di beni e/o servizi, consiglio di attivarsi – laddove si reputi verosimile che le altre parti contrattuali avranno difficoltà – per chiedere conferma della possibilità di adempiere esattamente alle obbligazioni oggetto del contratto, in ogni caso conservando nel limite del possibile in essere il rapporto contrattuale tramite una rinegoziazione degli accordi o, quale extrema ratio, comunicare (laddove ne ricorrano i presupposti oggettivi, da poter dimostrare) il venir meno dell’interesse a ricevere la prestazione o le ragioni della inutilizzabilità della stessa e procedere alla risoluzione del contratto.
Anche dal punto di vista della proprietà intellettuale si pongono alcune aree di incertezza. Quali sono gli aspetti verso i quali le imprese devono prestare maggiore attenzione a suo parere?
Il Ministero dello Sviluppo Economico in attuazione delle previsioni volte al contenimento e alla gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha stabilito con decreto, senza che sia necessaria la presentazione di alcuna istanza, la sospensione di tutti i termini in scadenza nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 3 aprile 2020, ad eccezione dei termini perentori del procedimento di opposizione alla registrazione di marchi e dei ricorsi. Il decreto prevede che, decorso il periodo di sospensione, i termini ricominceranno a decorrere per la parte residua.
Quindi le aziende devono prestare molta attenzione a termini perentori per proporre opposizione.
Infine, per quanto concerne i procedimenti attualmente in corso, cosa cambia per via dell’introduzione del periodo cuscinetto e dei decreti recentemente introdotti dal governo?
L’emergenza Coronavirus, come noto, ha coinvolto anche il sistema giudiziario italiano, prevedendo l’introduzione di quello che dai più è stato definito un “periodo cuscinetto”, a decorrere dal 9 marzo scorso e imposto (al momento) sino al 15 aprile.
Tale previsione è l’estrema sintesi di quanto più organicamente prescritto mediante il nuovo D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto “Cura Italia”) recante “misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica COVID-19”, che fa seguito al previgente D.L 8 marzo 2020, n.
11.
Di seguito un breve riepilogo delle principali misure contenute all’articolo 83 del D.L. in esame:
- sono abrogati gli articoli 1 e 2 del Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11. In particolare, l’abrogazione dell’articolo 1 del Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11 – che aveva creato qualche dubbio interpretativo soprattutto con riferimento alla portata applicativa della sospensione dei termini processuali- appare in linea con quanto precisato dalla Relazione Illustrativa e Tecnica che ha anticipato la pubblicazione del D.L. n. 18/2020, ove si precisava che “la disposizione qui illustrata (art. 83, n.d.r.) ripropone, in un unico articolo, il contenuto degli articoli 1 e 2 del vigente decreto-legge n. 11 del 2020 mediante la riproposizione delle medesime disposizioni con taluni adeguamenti nella formulazione delle norme al fine di chiarirne l’effettiva portata applicativa e le integrazioni necessarie per il completamento della disciplina emergenziale”.
- tra il 9.3.2020 e il 15.4.2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020;
- tra il 9.3.2020 e il 15.4.2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali;
In ogni caso, le sopraelencate misure non trovano applicazione per i procedimenti di cui al terzo comma dell’articolo in commento.
Conclusivamente, è opportuno rilevare che il nuovo art. 83 dedica anche un comma, il ventesimo, ai procedimenti deputati alla risoluzione in via stragiudiziale delle controversie prevedendo che, con riferimento al lasso temporale di cui al primo comma del medesimo articolo, risulteranno sospesi i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione, nei procedimenti di negoziazione assistita, nonché in tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Risulteranno, conseguentemente, sospesi anche i termini di durata massima dei medesimi procedimenti.