Il gruppo Inditex, di cui fa parte il colosso del fast fashion Zara, e H&M, suo rivale, nell'ultimo periodo stanno alzando il listino prezzi. I motivi possono essere molteplici, a partire dalle drammatiche interruzioni della catena di approvvigionamento avvenute nel 2020 con la pandemia e dei cortocircuiti che sono seguiti in termini di domanda e offerta, fino ad arrivare al sentimento ecologista che sempre più forte si fa sentire da parte dei consumatori più giovani, i cosiddetti Millennials e GenZ, che sempre di più si allontanano dalle dinamiche inquinanti della produzione di massa.

Senza dimenticare il rincaro delle materie prime, che ha messo in ginocchio molti player del settore tessile e abbigliamento.

Gli impatti della pandemia

I big del fast fashion non hanno fatto fatica a rialzarsi dopo gli impatti negativi della pandemia sui consumi e sulla catena di approvvigionamento, e lo testimoniano le vendite tornate a livelli pre-pandemici o al di sopra; certo è, però, che alcune cose sono cambiate: negozi chiusi, magazzini semivuoti, consegne che procedevano a rilento, difficoltà nel reperire materie prime, scorte ammassate nelle piantagioni di cotone dell’India centrale, l'innalzamento dei prezzi delle materie prime. Tutto ciò ha sicuramente contribuito alla scelta strategica dei due marchi di alzare i prezzi della loro offerta e di farla avvicinare, almeno in parte, alla 'Moda premium', ossia una moda tra il fast fashion, caratterizzato da bassa qualità e basso prezzo, e il lusso, che ha le caratteristiche opposte.

La spinta green

Alle motivazioni legate ai disagi creati dalla pandemia, si vanno probabilmente ad aggiungere quelle legate ad un cambiamento sociologico del consumatori. Secondo una ricerca redatta da Retviews, durante la pandemia l'interesse dei consumatori verso la tematica della sostenibilità ambientale e sociale è cresciuto, a discapito del fast fashion, notoriamente poco sostenibile.

Questo ha portato i colossi ad implementare una serie di iniziative verso questa direzione, tra cui spiccano vere e proprie linee di abbigliamento create ad hoc per attrarre anche questo segmento di consumatori che era più restio ad affidarsi a brand che producono dalle 12 alle 24 collezioni l'anno, inquinando i paesi in cui producono e sfruttando manodopera a basso costo, rendendosi responsabili di disastrosi incidenti come il crollo di Rana Plaza, avvenuto nel 2013 nella capitale del Bangladesh.

Ovviamente, rendere la propria filiera più trasparente e scegliere materiali di qualità più alta ha dei costi; da ciò, probabilmente, proviene l'ulteriore spinta all'alzamento dei listini.

Da low-cost a premium

La conseguenza di questi fattori è stato dunque un aumento del prezzo medio dei capi di fascia alta del 19% per Zara e del +3,2% per H&M registrati nel 2021, e un un maggiore utilizzo di cashmere (+0,36% per Zara, +0,54% per H&M), pelle (+3,98% per Zara, +0,82% per H&M) e lana (+2,26% per Zara, +1,74% per H&M), che spesso, come nel caso della nuova linea Zara Origins, provengono da fornitori tacciabili.

Che questo graduale aumento di prezzi, accompagnato da iniziative a promozione di una maggior trasparenza di filiera, sia in grado di avvicinare i consumatori più scettici verso il fast fashion non è certo.

Ma intanto sicuramente è un'evoluzione interessante da analizzare perché potrà rivelare il comportamento d'acquisto di una classe media che, seppur eterogenea e afflitta da profonde diseguaglianze, rappresenta una grande fetta del fatturato del fast e del premium fashion.