Per la serie BlastingTalks intervistiamo il direttore del Consorzio Grana Padano Stefano Berni. Il Consorzio Tutela Grana Padano riunisce da oltre sessant'anni produttori, stagionatori e commercianti del formaggio Grana Padano con l’obiettivo di garantire il rispetto della ricetta tradizionale e la sua alta qualità.

Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Iniziamo spiegando di cosa si occupa il Consorzio Grana Padano e quale missione persegue

Del Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano fanno parte 129 aziende produttrici con 142 caseifici produttori e 149 stagionatori. Sono inoltre autorizzate a confezionare Grana Padano in porzioni e alla grattugiatura 200 aziende. 19 sono infine quelle autorizzate ad usare la DOP in prodotti composti elaborati e trasformati (CET).

Ha sede a San Martino della Battaglia, località nel territorio di Desenzano del Garda, in provincia di Brescia; si trova quindi nel cuore della zona di produzione del formaggio Grana Padano, che si estende lungo tutta la pianura Padana e comprende 34 province dal Piemonte al Veneto, dalla provincia di Trento a quella di Piacenza; la produzione effettiva è oggi concentrata in 13 province.

L’art. 4 dello Statuto dispone che il Consorzio non ha scopo di lucro ed ha ad oggetto la tutela e la promozione del formaggio GRANA PADANO e della relativa denominazione in Italia e all'estero, da realizzarsi «mediante il compimento di ogni attività e l'assunzione di ogni iniziativa all'uopo necessarie». Sul fronte della tutela, ricordo l'esercizio di una costante vigilanza sulla produzione e sul commercio del Grana Padano, anche attraverso l'apposizione di marcature e/o di altri contrassegni sulle forme e/o sugli involucri, e la collaborazione con Enti, Organi e uffici - pubblici o privati, nazionali, comunitari comunque sovrannazionali od esteri - in ordine all'applicazione delle vigenti norme di tutela delle denominazioni di origine dei formaggi.

Per quanto riguarda la valorizzazione e la promozione, il Consorzio realizza contrassegni, marchi o brevetti, svolge attività promo-pubblicitaria e ricerche, tecniche e di mercato, volte a favorire il progresso dei metodi e dei mezzi di produzione e di commercializzazione del Grana Padano DOP.

Non manca infine la protezione legale attraverso azioni, comprese quelle giudiziarie, a difesa della denominazione, dei segni distintivi e le privative consortili in genere e per prevenire o reprimere inadempimenti e/o atti dei Consorziati e/o di terzi lesivi degli interessi del Consorzio e/o dei Consorziati.

Può raccontarci quali sono le caratteristiche principali della produzione del Grana Padano?

Ci vorrebbero molte pagine, ma proviamo a fare una sintesi.

Innanzitutto, a partire dall’alimentazione delle bovine, ogni prodotto utilizzato nella filiera del Grana Padano DOP proviene dalla zona di produzione. Quindi, la materia prima, il latte, parzialmente decremato per affioramento naturale, munto non più di due volte al giorno, trae origine da animali e mangimi del territorio.

La lavorazione non è cambiata nei secoli. La caldaie di rame o con l’interno in rame a campana rovesciata sono l’evoluzione di quelle in cui i monaci cistercensi produssero le prime forme nove secoli fa, non qualcosa di diverso.

La stagionatura vede il tempo agire come un casaro invisibile che fa rispettare alla forma il naturale processo di maturazione, ma rispetta la diversità di colore e di sapore nella comunque delimitata scala prevista dal Disciplinare di produzione.

Ogni forma è sottoposta ai controlli con ago e battitura e alle verifiche organolettiche. Tutte le partite di formaggio devono rispettare precisi parametri quali la fragranza, la friabilità, la salubrità, la tessitura e l’intensità e soprattutto il gusto. Solo quelle che le possiedono ricevono il marchio a fuoco del Grana Padano DOP.

Quali sono i processi che lo rendono unico?

Come ho detto, l’utilizzo rigoroso di materie prime della zona di produzione e la stagionatura.

Sono due elementi che hanno in comune il territorio dove direi hanno vita. Ed è questa la forza di un prodotto DOP, che van ben oltre il Made in Italy. Un prodotto creato in Italia può utilizzare materiali o ingredienti che provengono anche dall’estero, pur se di ottima qualità. Un prodotto a denominazione d’origine protetta deve essere fatto esclusivamente con quello che offre il territorio di produzione, compreso il microclima nei magazzini di stagionatura.

Ecco perché in una forma di Grana Padano si sentono i profumi del Lago di Garda, dei colli piacentini, delle terre ricche d’acqua di Mantova e Cremona, delle Alpi trentine e della Provincia Granda e delle Prealpi lombarde e venete.

L’origine del Grana Padano è molto dibattuta.

Alcune fonti sostengono sia stato prodotto per la prima volta nell'abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano. Riesce a darci un po’ di prospettiva storica?

La storia racconta che il formaggio grana della Pianura Padana sia nato attorno al 1135 fra le storiche mura di pietra dell’Abbazia di Chiaravalle, oggi situata nel Parco Agricolo Sud di Milano.

Quel luogo divenne subito punto di riferimento per l’esperienza monastica fondata sullo spirito dell’“Ora et Labora – prega e lavora”, il cui esempio di sobrietà, semplicità di vita, rispetto dell’ambiente e valorizzazione del lavoro è valido ancora oggi e premessa per il futuro.

Qui, infatti, in apposite caldaie all’interno del monastero, antenato di un moderno caseificio, fu ideato dai monaci un processo di caseificazione di un formaggio duro e destinato a migliorare con il tempo attraverso le la stagionatura.

Veniva prodotto grazie ai Conversi, contadini, pastori e allevatori che sapevano lavorare il latte.

I monaci lo chiamarono caseus vetus, formaggio vecchio. Il popolo, che non aveva dimestichezza con il latino, gli diede un altro nome, derivato dalla particolarità della pasta, compatta ma granulosa. Così nacque il nome di formaggio di grana o più semplicemente grana.

Dai conventi partì una rete di produzione e di commercio in tutta la pianura del Po, dove il formaggio di distingueva in modo sommario in base alla zona di produzione. I grana più citati sono il lodesano o lodigiano, considerato da molti il più antico, il milanese, il parmigiano, il piacentino ed il mantovano.

Quali sfide vi trovate ad affrontare per garantire il rispetto della ricetta tradizionale e la qualità riconoscibile in ogni singola forma prodotta?

Le stalle che conferiscono latte destinato a Grana Padano sono 3.974. Hanno scelto di essere il primo anello della filiera. Nessuno le ha obbligate a farlo e non esiste un automatismo per il quale basti essere nella zona di produzione perché il latte sia utilizzato per produrre Grana Padano. Al contrario, si accettano obblighi, a partire dal benessere animale e dall’utilizzo di materie prime del territorio. Quindi, è raro che qualcuno violi le regole. Il Consorzio comunque, con i propri servizi, effettua controlli sistematici su tutte le aziende e, se verifica irregolarità, procede anche con sanzioni. Se invece una forma non rispetta i parametri previsti per ricevere il marchio a fuoco che la dichiara Grana Padano, viene retinata, con una retinatura che si sovrappone e cancella i marchi Grana Padano intorno alla forma, e viene destinata ad altri usi, al di fuori della filiera del Grana Padano.

Quanto impatta il fenomeno dell’Italian Sounding sulle attività del consorzio? Quali armi ha il consumatore per riconoscere l’originale dall’imitazione o similare?

Anche indagini delle organizzazioni agricole ci dicono che l’Italian Sounding, soprattutto al di fuori dell’Unione Europea, realizza giri d’affari superiori a quelli dei prodotti DOP, con il Grana Padano tra i più colpiti. Quindi, cerchiamo di scoprire i casi più clamorosi e di intentare azioni legali a tutela del marchio. Un aiuto su questa strada arriva dagli accordi bilaterali tra l’Unione Europea e altri paesi, come Canada, Giappone, Cina, dove a condizioni di reciprocità di riconoscono marchi di prodotti legati a territori, come appunto il Grana Padano.

In Italia e nella UE abbiamo invece il problema dei similari, che si può superare attraverso la tracciabilità, che ora è riconosciuta solo sulle etichette dei prodotti nella distribuzione, ma non ad esempio al ristorante. Il 36% dei pasti degli italiani è consumato fuori casa, in locali spesso per pranzi veloci, dove i similari, a più basso prezzo e senza le garanzie di qualità del formaggio DOP, hanno la diffusione maggiore. Il cliente però non sa cosa mangia, perché gli ingredienti non sono indicati nei menù. Per dargli la conoscenza di quello che gli viene servito, chiediamo da anni che sia prevista l’indicazione degli ingredienti nelle carte di presentazione dei piatti.

Il consumatore nella distribuzione organizzata ovunque ha comunque uno strumento chiaro e sicuro che lo deve guidare nella scelta: la ricerca del marchio del Grana Padano, abbinato a quello del prodotto DOP.

Lo trova obbligatoriamente sulle confezioni. Se non compare, vuol dire che in quella confezione di formaggio o in quella busta di grattugiato non c’è Grana Padano DOP.

Quali saranno i risvolti dell’attuale crisi internazionale dettata dalla guerra in Ucraina per i produttori e in che modo pensate di affrontare la situazione?

Il mercato russo è chiuso per il Grana Padano DOP dal 2014, per effetto dell’embargo deciso da Putin come ritorsione alle sanzioni adottate dall’Occidente contro l’annessione della Crimea. Quindi, potremmo dire che sotto questo aspetto la situazione già pesante non peggiora per la guerra in Ucraina.

I timori sono invece legati ai costi delle materie prime per le attività aziendali e al caro energia, iniziato prima del conflitto e certamente condizionato da manovre speculative.

Temiamo che ora il conto si faccia ancor più salato, con conseguenti aumenti dei costi di produzione, che finiranno col gravare sui prezzi al consumo, come ha paventato la stessa Unione Europea. È lo scenario che non ci fa stare tranquilli, perché i consumatori potrebbero ridurre il loro budget anche sul fronte alimentare.

Dobbiamo affrontarlo con un occhio molto attento all’andamento dei mercati, soprattutto della domanda, e cercando di aprire nuovi mercati per mantenere l’equilibrio con la produzione. Veniamo da un 2021 incoraggiante sotto questo aspetto, con un numero di forme lavorate lievemente minore rispetto al 2020, ma con un export arrivato ad assorbire il 44% delle vendite.

Il tema dello sviluppo sostenibile è sempre più attuale: come agite in tal senso e quali sono le implicazioni del tema per il futuro?

Sui temi dell’energia il Consorzio Grana Padano promuove da anni progetti di ricerca finalizzati ad individuare metodi e tecnologie per ridurne il consumo in tutte le fasi della filiera produttiva, dall’allevamento per la produzione di latte, alla trasformazione e stagionatura del formaggio sino al confezionamento del prodotto finito.

Con il progetto LIFE TTGG – The Tough Get Going, frutto della collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, abbiamo ha voluto fornire alla filiera del Grana Padano DOP un set strategico per ottimizzare le prestazioni ambientali ed economiche mediante proposte di efficientamento energetico e diminuzione degli sprechi.

Nelle prossime settimane, grazie ai risultati dell’applicazione del metodo europeo PEF (Product Environmental Footprint) su tutta la filiera del Grana Padano DOP e degli audit di efficientamento effettuati in caseifici, stagionatori e stalle, sarà a disposizione delle aziende produttrici di formaggio DOP un software di supporto alle decisioni ambientali che, tra le diverse funzioni, permetterà loro di ottimizzare l’intero processo produttivo, attraverso la stima del consumo di energia e la definizione dei potenziali risparmi energetici: dal recupero di calore dal siero di latte, fino ai condensatori.

Oggi il PNRR e in particolare la “Missione 2” del Piano, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, porta in dote dei contributi finanziari importanti che potrebbero consentire alle filiere agroalimentari di compiere la necessaria evoluzione verso un’economia non soltanto green, ma anche più sostenibile, soprattutto in termini civili ed umani.

Per il Consorzio Grana Padano è necessario a questo punto che le istituzioni introducano maggiore flessibilità nell’utilizzo delle risorse e che l’emergenza sia un motivo ulteriore per sburocratizzare le procedure pubbliche di sostegno alle imprese che intendono investire in fonti rinnovabili e nella riconversione tecnologica, digitale ed ambientale dei propri impianti.

Il Consorzio, rappresentando la più importante filiera del settore, che impegna 1/4 del latte prodotto in Italia, potrebbe dare un forte impulso al rilancio e alla creazione di un modello energetico pulito e rinnovabile che, combattendo la crisi climatica, contribuirebbe ad alimentare la pace, la democrazia, i diritti umani e l’indipendenza.

L’impegno alla realizzazione di modelli produttivi sostenibili fa parte della cultura di tutta la filiera del Grana Padano, che ha infatti manifestato già l’intenzione di investire oltre 180 milioni di euro per migliorare impianti e processi produttivi, puntando sulle energie rinnovabili e ad una maggiore integrazione della produzione e alla creazione di migliori relazioni di mercato e proseguendo soprattutto nel percorso di transizione ecologica proposto dal Green Deal.