L'Europa che si voleva unita, moriva proprio mentre stava nascendo, e lo faceva ai suoi confini orientali, in terra di Bosnia. Srebrenica, Bratunac, Zvornik: nomi assai poco famigliari, oggi come allora, in quei giorni di luglio del 1995. E' l'11 luglio quando cade in mano serba Srebrenica, la piccola enclave bosgnacca (i "bosgnacchi" sono i bosniaci di cultura e/o religione musulmana) tenuta da anni sotto assedio, nonostante già nel 1993 fosse stata dichiarata dall'ONU zona protetta.
Brindare al massacro
Una zona protetta che, oltre a non essere mai stata veramente protetta, viene abbandonata dai caschi blu subito dopo l'entrata dei serbi in città.
Tutti i civili rimasti, in quel caldissimo 11 luglio, vengono indirizzati dai serbi verso Potocari, a pochi chilometri dalla città, dove si trova il compound dell'ONU, sistemato in una vecchia fabbrica dismessa di batterie. Qui, incredibilmente e vergognosamente, avviene una vera e propria separazione tra donne e bambini (inviati poi con autobus verso la città di Tuzla, controllata dai bosgnacchi) e uomini, trattenuti in loco. Dopo il celeberrimo brindisi tra il generale olandese Thom Karremans e il capo delle truppe serbo-bosniache Ratko Mladic, i caschi blu abbandonano la scena e si ritirano a Zagabria.
L'Europa non ha visto
Da quel momento inizia la mattanza, lontano dagli occhi e dal cuore dell'Europa.
Chi, nelle capitali europee occidentali, in quei giorni aveva un'idea anche minima di ciò che avveniva sulle rive della Drina, il fiume che fa da confine naturale tra Bosnia Erzegovina e Serbia, nelle località in cui venivano trasferiti i prigionieri? Racconta Paolo Rumiz, che visse quel conflitto e lo raccontò e spiegò mirabilmente nel suo libro Maschere per un massacro, come le uccisioni di massa furono preparate e pianificate in ogni dettaglio: non è cosa semplice organizzare la soppressione e l'occultamento dei cadaveri di un numero imprecisato - tra le 8 e le 10mila- persone.
Uno degli episodi più brutali avviene il 16 luglio a Zvornik, città attraversata dalla Drina ed oggi divisa tra Bosnia e Serbia: sono più di settecento le persone che vengono ammassate in un cinema e finite con raffiche di armi automatiche. I soldati serbo-bosniaci sono stremati, non ce la fanno più neppure loro ad uccidere a questo ritmo.
In città si sente tutto, ma nessuno vuole vedere. Le cancellerie europee sanno tutto, ma nessuno vuole intervenire. E con la multietnica e multireligiosa Bosnia Erzegovina, con uno spaventoso massacro di musulmani, vengono abortiti sul nascere anche i valori su cui l'Unione Europea dovrebbe fondarsi.