Sabato 12 ottobre, il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha scritto un tweet nel quale ha espresso la vicinanza del governo italiano al popolo curdo, invitando l'esecutivo a sospendere la vendita di armi alla Turchia.
Il Paese del presidente Erdogan, infatti, rientra nel novero dei primi clienti dell'industria bellica italiana. Stando ad un comunicato diffuso da Rete Italiana per il Disarmo, solo nel 2018 il Ministero degli Esteri ha dato il via libera a circa 70 autorizzazioni per l'esportazione di materiale bellico per un valore di circa 360 milioni di euro.
Il computo dal 2015 ad oggi, invece, è di concessioni di forniture per 890 milioni di euro e di consegne pari a 463 milioni.
La rete di associazioni pacifiste italiane si è rivolta direttamente alla Farnesina, invocando l'immediata sospensione di queste operazioni commerciali con Ankara, facendo leva sulla legge 185 del 1990 che vieta l'invio di armi verso Paesi già in stato di conflitto.
Dal palco di Italia 5 Stelle di Napoli, Luigi Di Maio ha detto che lunedì, durante il Consiglio dei ministri degli Affari Esteri, chiederà ufficialmente all'Unione europea di porre il veto sulle forniture militari alla Turchia.
Giorgio Beretta, analista dell'export di armi per la Rete Italiana per il Disarmo, ha invitato il Parlamento a farsi sentire sulla questione, sottolineando che l'appartenenza della Turchia alla NATO non può rappresentare un alibi per giustificare la rinuncia a qualsiasi forma d'intervento.
Germania: stop alla cessione di armi alla Turchia
Anche la Germania in questi anni ha stretto affari con il governo turco per la cessione di materiale bellico: solo nel 2018 i tedeschi hanno intascato circa 240 milioni di euro, un terzo dei ricavi totali. Il ministro degli Esteri Heiko Maas ha dichiarato alla Bild am Sonntag che il suo governo ha deciso di fermare questo tipo di commercio con Ankara in seguito all'offensiva turca nel nordest della Siria.
L'esponente politico ha ricordato che già a partire dal 2016 da Berlino è stata varata una linea più severa e restrittiva sulle forniture militari alla Turchia, in risposta alle operazioni belliche avviate nella regione di Afrin, nella Siria settentrionale.
Olanda e Paesi scandinavi chiedono embargo sulle armi
Mentre la Turchia continua ad attaccare nella Siria del nord e il suo esercito ad avanzare, l'Unione europea non è ancora riuscita a prendere una decisione condivisa.
Fino a venerdì era spaccata in tre gruppi principali: il primo, che comprendeva tra gli altri Italia e Francia, proponeva sanzioni economiche; il secondo, costituito da Olanda e Paesi scandinavi, spingeva per un embargo sulla vendita di armi al governo di Ankara, mentre il terzo gruppo, nel quale c'erano Germania e i Paesi di Visegrad, suggeriva una linea più morbida.
In queste ultime ore, però, anche Berlino, Roma e Parigi si sono allineate ai governi che hanno avanzato richiesta di embargo, ma c'è da sottolineare che il giro d'affari legato al mercato delle armi è enorme (la Turchia, ad esempio, è il primo importatore di materiale bellico tedesco).
A tutto ciò si aggiunge la crisi dei migranti.
Erdogan, infatti, ha un asso nella manica: i 3,6 milioni di rifugiati che ospita nel suo territorio e che minaccia di disperdere nei Paesi europei. Il presidente turco ha addirittura alzato la posta, chiedendo un aumento del sostegno economico garantito dall'Unione europea affinché trattenga i profughi entro i suoi confini. Finora l'Ue ha già versato circa 6 miliardi di euro, ma adesso il "Sultano" ne chiede di più.