New York - La mattina di giovedì 24 febbraio Andrei è stato svegliato alle 5.30 da una telefonata di suo padre, medico in uno dei principali ospedali di Kiev. “Alzati, stanno bombardando. Devi lasciare la città”. “Non sapevo cosa fare - ha detto a Blasting News - Prima sono andato a casa della mia ragazza, che non è lontana da dove vivo a Kiev. Poi, quando ho capito che mio padre non avrebbe lasciato la città per continuare a curare i civili, siamo partiti”.
Andrei ha 25 anni, ha studiato al Politecnico di Kiev e lavora come ingegnere informatico per una società ucraina che vende servizi IT ad aziende statunitensi ed europee. Ora combatte la sua guerra con attacchi hacker contro la Russia. Ci racconta la sua storia in un'intervista telefonica chiedendoci di non rivelare il suo nome e la città in cui si trova.
La sua voce, nonostante sia filtrata da un software per renderla irriconoscibile, suona squillante e giovane, il suo racconto scorre veloce, a tratti interrotto da sospiri e lunghi momenti di silenzio.
“Quella mattina è stata terribile. Ho preso l’auto e abbiamo iniziato a guidare per andare più lontano possibile da Kiev, non si capiva ancora molto bene cosa stesse accadendo, ma le strade erano già piene di automobili e persone, gente che cercava di prelevare il più possibile dagli sportelli delle banche, code infinite davanti ai distributori di benzina”, continua Andrei.
In questo momento si trova 400 chilometri a ovest di Kiev, con la madre e la sorella ospiti a casa della sua ragazza che è già in Lituania: “Vorrei che anche mia madre e mia sorella lasciassero il paese il prima possibile”, dice.
Sono passate tre settimane dall’inizio della guerra in Ucraina e, secondo le stime dell'High Commissioner for Human Rights delle Nazioni Unite, l’invasione russa ha costretto oltre tre milioni di ucraini a lasciare il paese: solo Kiev ha perso oltre la metà della sua popolazione, quasi un milione e mezzo di cittadini su tre milioni di residenti, che si sono rifugiati a ovest del paese, in piccoli centri rurali, oppure hanno fatto decine di ore di coda per attraversare il confine ed entrare in Europa come rifugiati.
Anche il numero dei morti continua ad aumentare, nonostante non ci siano dati ufficiali attendibili: le autorità ucraine parlano di 20.000 vittime nella sola Mariupol, città sul confine russo, sottoposta a un durissimo attacco da parte dell’esercito di Vladimir Putin. Diversi osservatori internazionali sostengono che il numero dei morti di questa guerra sia molto più alto, soprattutto tra i civili ucraini e i militari russi, nonostante la macchina della propaganda dei media di stato controllati da Putin continui a diffondere dati falsi o impossibili da verificare, presentando l’invasione come “un’operazione militare per liberare l’Ucraina”.
All'estremo opposto del paese - a sud ovest, sui monti Carpazi - si nasconde un altro 25enne di Kiev: si chiama Igor, lavora come business developer manager per un'azienda ucraina, ha una ragazza, ha vissuto per anni in Europa, soprattutto in Germania dove ha studiato. “Ora sono in una località protetta, in un albergo che in tempi di pace ospita turisti e sciatori e adesso dà un alloggio sicuro a decine di famiglie che non possono o non vogliono lasciare il paese”. Per lui, come per Andrei e migliaia di altri giovani Ucraini, la guerra ha segnato un solco tra la vita di prima - “lavoro, famiglia e amici come in una normale città europea” - e la realtà di oggi, costruita di silenzi e attese, ricerca di notizie e notti davanti allo schermo del cellulare per capire cosa cosa sta succedendo.
“Non ho avuto molto tempo per reagire. Pensavo che non sarebbe mai successo, non credevo nella possibilità di un attacco russo. E il 23 febbraio sono andato a dormire con l'idea che non sarebbe successo niente. Alle 5 del mattino successivo ho ricevuto una chiamata da mia madre, che aveva sentito diverse esplosioni, poi ho sentito le esplosioni io stesso. Era il primo giorno di invasione quando i razzi hanno colpito le principali infrastrutture dell'Ucraina, un paio di aeroporti: Putin ha detto ufficialmente che avrebbero iniziato a invadere l'Ucraina”.
Andrei e Igor non sono i soli ad aver abbandonato le metropoli dell’Ucraina per rifugiarsi in campagna dove il rischio di bombardamenti o attacchi è molto più basso.
Potrebbero essere considerati disertori o renitenti, anche se in Ucraina non esiste una legge che li obblighi ad arruolarsi. Per ora il governo ucraino ha vietato ai cittadini di sesso maschile tra i 18 e i 60 anni di abbandonare il paese, ma non li ha obbligati ad arruolarsi per combattere.
Igor spiega a Blasting News che non sta scappando dai suoi doveri di cittadino ucraino: “Non ho mai preso in mano un’arma e non so come sparare. Per questo credo di non essere utile nell’esercito. Ho diversi amici che si sono arruolati, ma io non me la sentivo. Credo che ognuno di noi debba collaborare usando le proprie capacità”. Racconta di aver pensato di lasciare il paese ma poi di aver preferito evitare di varcare le frontiere illegalmente: “Voglio stare al fianco dei miei concittadini e aiutare”.
Aggiunge che aiuta le diverse associazioni che nelle ultime settimane si sono mobilitate per sostenere le popolazioni colpite dalla guerra.
Come loro, migliaia di giovani ucraini combattono una guerra parallela, senza armi, quasi sempre lontani dal fronte. “Ci sono molti altri nostri amici che hanno fatto la stessa scelta”, dice Andrei. Lottano a distanza, senza far parte dell’esercito, si rifugiano a ovest, per ora la parte più sicura del paese.
“All’inizio, quando è scoppiata la guerra, avevo pensato di arruolarmi, ma poi ho preferito rendermi utile facendo quello che so fare meglio: usare le mie competenze informatiche per colpire le infrastrutture telematiche russe”. Andrei e il suo amico Marty, che partecipa alla nostra conversazione di tanto in tanto parlando in ucraino, dicono di fare parte della IT Army, un gruppo di informatici e hacker decentrato e organizzato dal governo ucraino che nelle ultime settimane ha fatto diversi attacchi contro siti governativi russi.
“Siamo un gruppo di programmatori e ingegneri informatici provenienti dall’Ucraina e da tutto il mondo e stiamo cercando di creare problemi alla Russia con attacchi hacker mirati. Se non attacchiamo noi, ci attaccheranno loro”, spiega. “Ci organizziamo su Telegram e siamo una comunità abbastanza grande. Credo che questo sia il mio compito, non sono in grado di combattere ma so che posso avere molti più risultati lavorando nella information warfare”.
Andrei parla della vita in tempo di pace come una cosa lontana: “Non mi ricordo come era la mia vita 15 giorni fa. Perché era un’altra vita. Vivevamo una vita molto veloce: in ufficio tutto il giorno, poi a casa e nel fine settimana con gli amici al bar.
Ora tutto questo è scomparso”.
Sia Igor che Andrei hanno lo stesso sogno: vincere questa guerra e iniziare a ricostruire un paese sempre più integrato con l’Europa. Lo ripetono entrambi più volte nel corso della nostra telefonata. “Non stiamo scappando, siamo qui perché amiamo l’Ucraina - dice Igor -. Questi giorni sono passati tra alti e bassi, un giorno pensi che perderemo, il giorno dopo sei euforico e credi che vinceremo. Ma sono convinto che la Russia abbia già perso. Le sanzioni la stanno colpendo duramente. Il mio sogno è tornare nella mia città, Kiev, e contribuire alla ricostruzione del paese. Questa non è una guerra contro la Russia, è una guerra per il nostro futuro. È la guerra per la nostra indipendenza, per essere riconosciuti come un paese unico, unito”.