Leopoli - Prima della guerra sviluppava programmi in Javascript per una grande società di analisi dei dati, in un ufficio di Kiev. Oggi Dmytro Anastasiev, 26 anni, percorre in lungo e in largo la capitale ucraina svuotata e ormai quasi assediata dalle truppe russe, per portare aiuto a chi ne ha bisogno mettendo a repentaglio la sua stessa vita.

L’incubo, per Dmytro come per altri 44 milioni di ucraini, è iniziato alle prime ore del 24 febbraio, il giorno in cui Vladimir Putin ha ordinato l’attacco su larga scala che ha sconvolto il mondo intero. “Molti abitanti di Kiev hanno fatto subito le valigie”, ci spiega al telefono. “Ma io, pur sapendo che ai maschi in età da leva [dai 18 ai 60 anni, ndr] sarebbe stato presto impedito di partire, sono rimasto”.

“Non ci sarà una soluzione facile a questo conflitto”

Da quasi tre settimane sale a bordo di una macchina e consegna scatoloni con beni di prima necessità alle famiglie che hanno perso la casa, mette in collegamento i magazzini alimentari con le mense che cucinano per le truppe, contribuisce a compilare elenchi di chi è rimasto intrappolato nella metropoli e ha bisogno di una mano.

“Sappiamo tutti che non ci sarà una soluzione facile a questo conflitto. Ci diciamo ottimisti ma in cuor nostro crediamo che la pace non sia dietro l’angolo”, dice Dmytro, che racconta come lo shock del sentirsi cittadino di una nazione invasa sia durato appena tre giorni, il tempo per la sua famiglia di fare le valigie mentre lui e altri amici si sono occupati di mettersi al riparo.

Poi c’è stato l’adattamento, la consapevolezza di non essere davanti a una guerra-lampo e infine la voglia di reagire. “Mi sono reso conto che non potevo più stare fermo”, dice. E ha iniziato a organizzarsi.

Vite riconfigurate

Quella di Dmytro è solo una delle tante vite che sono state "riconfigurate" in un battibaleno dalla guerra in Ucraina, che ha costretto la gente comune a mettersi a disposizione della resistenza diffusa.

Un po’ col passaparola, un po’ grazie ai social, lui ha trovato una rete vastissima di volontari che come lui volevano fare qualcosa - qualunque cosa - e da allora gira solo con tuta, scarpe da ginnastica e giubbino senza mai un giorno di riposo.

Fino a 20 giorni fa, Kiev sfiorava i tre milioni di abitanti. Oggi, secondo stime approssimative, ne sono rimasti meno della metà. “Sentiamo le sirene tutti i giorni. È spaventoso”, dice Dmytro. “Dobbiamo mollare tutto quello che stiamo facendo in quel momento e trovare un bunker. Ma a chi ha bambini piccoli o un animale domestico va ancora peggio: rischia di non dormire e di non far dormire gli altri”. Il sindaco di Kiev ha annunciato lunedì sera un coprifuoco di 35 ore a causa della situazione “difficile e pericolosa”.

È entrato in vigore alle 20.00 ora locale e terminerà alle 7.00 del 17 marzo.

Dmytro spiega anche cosa dovrebbe fare chi non può mettersi in sicurezza durante gli allarmi. “Se proprio non può stare in un rifugio, deve cercare di dormire nella parte più interna dell’appartamento. Ci dev’essere almeno un muro tra te e le finestre, che possono esplodere in mille pezzi per le onde d’urto”.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ripetutamente avvertito le forze russe che circondano Kiev che dovranno affrontare una lotta mortale, e rischiano di conquistare una città ridotta in macerie. Anche il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha detto che la città non si arrenderà né accetterà alcun ultimatum.

La metropolitana come rifugio

Nel frattempo, i cittadini rimasti cercano conforto in metropolitana, diventata uno dei simboli più lugubri di questa guerra. In tempo di pace il servizio era usato da circa 1 milione di persone al giorno; ora le stazioni sotterranee servono come rifugio d’emergenza per circa 15.000 residenti, che dormono sulle piattaforme e nei corridoi una volta che inizia il coprifuoco.

La metropolitana funziona su un binario ogni 90 minuti, mentre la piattaforma opposta ha vagoni stazionati per le persone che aspettano, si siedono o dormono. Come metodo di supporto, il governo ha anche rafforzato l'accesso al wifi in tutta la città, fornendo connessioni Internet a più di 200 rifugi antiatomici per consentire alle persone di rimanere in contatto con i parenti.

La guerra in Ucraina degli hacker

Alcuni ex colleghi informatici di Dmytro si sono messi a disposizione per uno gli aspetti più sofisticati della guerra: “C’è un gruppo di comunicazione nascosto in città che combatte la propaganda russa”, spiega lui, ammiccando al fatto che si tratta sia di influencer dei social media sia di hacker veri e propri, disturbatori anonimi delle istituzioni nemiche.

I finanziamenti per le operazioni di Dmytro e di altri volontari provengono da una miriade di fonti: donazioni da ucraini facoltosi o dall’estero, o da ong che si trovano ormai tutte nelle regioni occidentali. In particolare il supporto economico arriva da Leopoli, la città a 60 km circa dal confine polacco che è diventato il principale centro di smistamento per sfollati dell’Ucraina, nonché la capitale di fatto del Paese.

Di sicuro Kiev vive in relativo isolamento, e le associazioni più ricche sono scappate, così come tutto il corpo diplomatico straniero, per operare meglio altrove, da località remote.

I gruppi di difesa territoriale

Per chi vuole essere parte della resistenza armata vera e propria ci sono i cosiddetti “gruppi di difesa territoriale” - gente comune dotata di fucili e mitragliatori con il beneplacito del governo e coordinata dall’esercito. “Non hai idea di quanta gente in abiti civili puoi vedere in giro per Kiev con le armi in mano”, spiega Dmytro. “Ed è così da settimane”.

Ma adesso quei gruppi strabordano di partecipanti, e non ci si può arruolare più, almeno non ufficialmente. “I gruppi armati sono diventati fin troppi, il governo ne è consapevole e non vuole che troppa improvvisazione si trasformi in caos.

O che faccia più danni che altro. Condivido questa idea: meglio dare una mano dietro le quinte”. Anche con le trasfusioni di sangue gli abitanti di Kiev sono a posto, spiega, per la profusione di solidarietà senza precedenti.

L’organizzazione del volontariato

I gruppi su Telegram sono fondamentali per l’organizzazione del volontariato. C’è di tutto: chi ha bisogno di soldi, di cibo, chi ha perso la casa. “Ho trovato una donna a cui i soldati russi avevano sparato. I suoi parenti ci hanno scritto che lei non aveva nulla, ed era in ospedale. Le abbiamo fatto avere dei vestiti puliti e dei soldi in contanti”. Dmytro fa anche da manovalanza per una vasta rete di ristoranti, riconvertiti in mense caritatevoli: “Mi occupo di andare a recuperare i pasti caldi e li distribuisco insieme ad altri volontari di casa in casa, organizzando tour che ci tengono impegnati per ore ogni giorno”.

Chi cerca di fuggire dalla Guerra in Ucraina

E poi ci sono i tantissimi, migliaia in qualsiasi istante, che cercano di fuggire. Fuori da Kiev, innanzitutti. Poi quasi sempre a ovest. E da lì in Polonia, Ungheria, Germania. “Le evacuazioni sono gestite dalle autorità statali, in verità, perché il rischio è che autisti inesperti possano ficcarsi nei guai finendo in strade già controllate dai russi. Ma in ogni caso siamo sempre in allerta, pronti ad aiutare chi scappa con i nostri mezzi”, dice Dmytro.

In ogni caso, andarsene è diventata una faccenda proibitiva: gli aeroporti sono chiusi, i treni stracolmi, mentre per arrivare a Leopoli è rimasta aperta solo un’autostrada, a sud della capitale. “Bisogna fare un giro infinito che richiede oltre tre giorni di macchina.

In tempi normali bastavano sei ore”, dice Dmytro.

In un modo o in un altro, vuoi in treno, in autobus o con la propria auto, dopo quasi tre settimane di conflitto più di 2,5 milioni di persone sono fuggite dall'Ucraina, secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Mentre Mosca sostiene di non aver preso di mira i civili da quando ha invaso l'Ucraina, Zelensky e gli alleati occidentali dicono il contrario. La Russia incolpa l'Ucraina per non aver evacuato i civili dalle città accerchiate, ma notizie e numerosi testimoni oculari hanno smentito questa affermazione.

Il paradosso di Kiev

Dmytro illustra un paradosso: anche se Kiev vive uno status precario e pericolante, e le sue città-satellite rischiano di essere ridotte in polvere una a una, grazie all’enorme numero di volontari armati e tuttofare la capitale è diventata una delle città più sicure del mondo.

Dove si può camminare senza paura, anche se non la si riconosce più.

“Sto provando a capire come vivere nella nuova Kiev che ho sotto gli occhi”, dice Dmytro, che cerca di afferrare con le sue parole un barlume di normalità, per quanto straniante. E ammette a sé stesso: “Noi che siamo rimasti lo sappiamo: il conflitto non sarà breve. Dobbiamo riprendere il lavoro che facevamo prima. Guadagnare dei soldi e spenderli qui. Tornare a usare i ristoranti, i servizi. Riprogrammandoci per una nuova routine. Ci sono tante persone come me che non se ne andranno. Siamo orgogliosi dei nostri eroi. E sappiamo che vinceremo, su questo non ci sono dubbi”.