La Guerra in Ucraina ha modificato drasticamente la percezione di sicurezza in Europa, dettando nuove regole all’interno del delicato gioco di equilibri del continente. A maggio, tre mesi dopo l'inizio del conflitto, Finlandia e Svezia, paesi storicamente neutrali sebbene politicamente e culturalmente occidentali, hanno presentato domanda di adesione alla NATO. La Turchia aveva bocciato il primo passaggio per permettere ai due stati l'ingresso nell'Alleanza, quindi sono iniziati i colloqui tra i tre paesi. Il 25 maggio due delegazioni di Finlandia e Svezia sono andati in Turchia per provare a raggiungere un accordo ma Ibrahim Kalin, portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha fatto sapere che i colloqui si sono conlusi in un nulla di fatto.

Il fine di Svezia e Finlandia è quello di rafforzare la sicurezza nazionale dei due paesi minacciata, ancora solo formalmente, dai vicini russi. In realtà la Guerra in Ucraina rappresenta solo la punta dell’iceberg del processo di “europeizzazione” di questi Stati avviatosi da tempo, prima con l’invasione russa della Georgia nel 2008 e poi con quella della Crimea nel 2014.

Non si è fatta attendere la risposta del Cremlino la cui entità “dipenderà dalla vicinanza delle infrastrutture dell'Alleanza ai confini" russi, ribadendo che Mosca “adotterà le necessarie misure per garantire la propria sicurezza”.

Il grande passo

La storica neutralità militare finlandese e la conseguente riluttanza del paese, almeno fino ad oggi, ad un eventuale ingresso nella NATO è stata imposta ad Helsinki dall’URSS alla fine della Seconda Guerra Mondiale contestualmente ad una pesante ingerenza russa nella politica interna ed estera della Finlandia in cambio della rinuncia sovietica ad ogni tentativo di invasione dei territori finlandesi.

Da questa condizione è stato coniato il termine “finlandizzazione”, recentemente tornato in voga per descrivere la questione ucraina.

La vicinanza della grande potenza sovietica, con cui la Finlandia condivide km di confine, ha da sempre rappresentato una minaccia per la propria sicurezza nazionale.

Per questo motivo la richiesta di Helsinki ha una valenza storica e delle implicazioni geo-politiche importanti.

Ad onore del vero, l’abbandono della neutralità da parte della Finlandia è stato in realtà un percorso graduale e assiduo, iniziato prima con l’adesione all’Unione europea e poi all’Euro e segnato da collaborazioni satellite con la NATO.

E la Svezia?

La Svezia ha mantenuto la sua neutralità militare durante tutto il secondo conflitto mondiale, ribadendo ancora una volta la sua imparzialità nel 1949 quando declinò l’invito ad entrare nella NATO.

Membro anch’essa dell’UE dal 1995, si è resa promotrice negli anni di una politica orientata al dialogo e ad un graduale disarmo delle truppe.

Con l’invasione russa della Crimea nel 2014 si assiste ad una prima inversione di tendenza della politica svedese e ad un incremento della spesa bellica che, dopo il 24 febbraio 2022, secondo quanto annunciato dal governo svedese, sarà pari al 2% del PIL entro il 2028.

Come cambierebbe la NATO?

Un eventuale ingresso dei due paesi nordici all’interno del Patto Atlantico consentirebbe alla NATO di arricchirsi di ingenti forze militari e di un sistema di aviazione navale e aerea tra i più potenti al mondo. Inoltre, la posizione strategica dei due paesi intensificherebbe i controlli e i collegamenti tra l’Unione Europea e la NATO attraverso l’oceano Atlantico.

Ciononostante, il processo di adesione è subordinato al consenso unanime degli Stati Membri. USA e Gran Bretagna hanno mostrato il proprio entusiasmo, assicurando il loro sostegno economico e militare durante la fase di transizione, in caso di attacchi russi.

A frenare gli entusiasmi è stato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha espresso le sue riserve su una eventuale adesione. Sia a causa dell’ospitalità offerta da Svezia e Finlandia ad alcuni cittadini di origine curda definiti dal governo turco “terroristi del Pkk” (partito curdo di estrema sinistra in conflitto militare con Ankara), sia a causa di una forte dipendenza turca dal gas e dal petrolio russo. In realtà, secondo diversi analisti e funzionari occidentali, sembra che il 'no' della Turchia sia dettato dalla possibilità di sfruttare la situazione a proprio vantaggio per ottenere in cambio qualcosa, non si tratterebbe di una risposta definitiva.

A prescindere da come evolveranno le trattative all’interno della NATO, c’è da chiedersi se l’offensiva russa in Ucraina non rischi di assumere un effetto boomerang che, piuttosto che indebolire il Patto Atlantico, avvicina i confini dell’Alleanza a quelli di Mosca. Di contro, un eventuale ampliamento della NATO porge il fianco ad una politica putiniana ancora più aggressiva, che troverebbe la sua “legittimazione” nella necessità di fermare l’incombente avanzata dell’Alleanza verso i confini russi.