La riforma della Pubblica Amministrazione, in Italia, avverrà seguendo due strade diverse. Una strada più veloce per abolire il cosiddetto 'trattenimento in servizio', possibilità che ora è stata cancellata, per introdurre il divieto da parte dei magistrati di ricoprire incarichi dirigenziali sfruttando i periodi di aspettativa, il divieto di assegnazione di incarichi dirigenziali ai lavoratori in quiescenza, la massima flessibilità nella pubblica amministrazione.

Una strada più lenta e laboriosa, invece, per concedere ai lavoratori l'uscita dal lavoro anticipata a 57 anni con almeno 35 anni di contributi con il calcolo dell'assegno pensionistico con il metodo contributivo (contributi versati) piuttosto che retributivo (importo ultima busta paga).

A questa ipotesi dovrebbero essere assoggettati tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, privati e statali, donne e uomini. Quindi, un'unica legge valida per tutti, senza distinzione.

Le prime reazioni da parte delle organizzazioni sindacali non sono state positive, soprattutto per la Cisl che definisce questa riforma come una serie di norme 'che si accaniscono contro i lavoratori pubblici'. Anche la Cgil ha avuto una reazione abbastanza critica definendo questa riforma una serie di norme che faranno nascere 'una amministrazione pubblica asservita alla politica'. Proprio Susanna Camusso, segretario della Cgil, si aspettava una maggiore dose di coraggio nel riordinare la pubblica amministrazione. Secondo il suo parere, queste norme 'non avranno ricadute positive nel rapporto tra amministrazioni pubbliche e cittadini lasciando invariata l'organizzazione degli uffici'.