"Non vedo questo rischio". Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Matteo Renzi rispondendo ai giornalisti che durante il suo viaggio a New York gli hanno chiesto se vede rischi di spaccatura del Partito democratico per lo scontro di questi giorni sulla riforma del lavoro Jobs Act e sull'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Anche se nel Pd non sembra esserci unità di intenti nemmeno per quanto riguarda la riforma pensioni, le nuove forme di pensione anticipata, l'abbassamento dell'età pensionabile mentre il Governo Renzi deve ancora risolvere le vicende esodati e Quota 96 scuola, i lavoratori più penalizzati dalla riforma pensioni del Governo Monti predisposta dall'ex ministro del Lavoro Elsa Fornero la cui abolizione viene chiesta oggi con forza dalla Lega Nord di Matteo Salvini e da Italia dei Valori di Ignazio Messina, mentre quasi tutti i partiti sono per delle sostanziali modifiche alle leggi Fornero, sia quelle relative alle pensioni ma anche per quelle sul lavoro che in questi giorni hanno agitato le acque nel Pd.

"Non ci sarà alcun pasticcio, condivido alla lettera - ha detto il premier Matteo Renzi rispondendo ai cronisti al termine dell'incontro con la comunità italiana al consolato di New York - le parole del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Faremo una riforma del lavoro fatta bene - ha aggiunto il presidente del Consiglio - che sarà degna di questo nome".

Ma le divisioni nel Pd su riforma del lavoro Jobs Act e articolo 18 restano immutate. "Nel Jobs Act - ha dichiarato il parlamentare del Partito democratico Stefano Fassina - paventa il rischio di tasse più alte per le imprese. Non c'è nessun intervento certo - ha aggiunto Fassina in un'intervista pubblicata oggi sul quotidiano La Stampa - di disboscamento dei contratti precari, la delega parla solo di una eventualità.

E poi gli ammortizzatori sociali per i precari: la delega - ha spiegato il deputato del Pd intervenendo sulla riforma del lavoro - parla di risorse invariate, quindi quelle che oggi non bastano nemmeno andrebbero redistribuite su una platea molto più ampia''. Mentre "sull'articolo 18 - ha detto l'ex sottosegretario all'Economia del Governo Letta che si dimise dopo la polemica "Fassina chi?" innescata dall'allora "soltanto" segretario del Pd Matteo Renzi - vorrei capire la connessione tra la sua eliminazione e la riduzione della precarietà.

Lo si vuole eliminare - ha detto Stefano Fassina a proposito dello scontro nel Pd sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori - perché si vuole fare quello che raccomanda la Commissione europea", cioè, secondo l'ex responsabile Economia del Pd allora guidato da Pierluigi Bersani, "indebolire il residuo potere contrattuale dei lavoratori, ridurre le retribuzioni, continuare a svalutare il lavoro perché non si può più svalutare la moneta".

"Nessuno - ha detto il senatore Giorgio Tonini (Pd) intervenendo sulla riforma lavoro ad Agorà su Rai3 - pensa di abolire il diritto al reintegro in caso di licenziamenti discriminatori. Nessuno - ha sottolineato il parlamentare del Partito democratico - pensa di mettere in discussione l'attuale articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, compreso - ha aggiunto - il diritto al reintegro, per i lavoratori che hanno già un contratto a tempo indeterminato. Dobbiamo provare a costruire - ha proseguito il parlamentare del Pd - una nuova stagione di diritti e strumenti di tutela per una nuova generazione di lavoratori. Il problema - ha concluso il senatore Giorgio Tonini - non è difendere il posto di lavoro ma difendere la professionalità sul mercato del lavoro".