Continua a tenere banco il caso pensioni lavoratori precoci: la situazione dalle parti di Palazzo Chigi pare essersi stabilizzata, con l'asse Poletti-Boeri da una parte e il solo Premier dall'altra, che comunque coadiuvato da altri membri dell'Esecutivo (si pensi alla nota posizione del Ministro dell'Economia Padoan che punta su una riforma della Pensioni ridotta al minimo) non dimostra ancora di percepire l'assoluta necessità di intervento lato previdenza. Se l'elezione di Boeri a presidente dell'Inps da una parte e le ultime dichiarazioni del ministro Poletti dall'altra ('Lavoreremo prestissimo per chi è vicino al pensionamento ma rischia di non maturare le condizioni stesse di accesso al pensionamento') hanno in qualche misura accelerato l'iter di riforma, a certificare la necessità di un repentino cambiamento - il caso pensioni lavoratori precoci è solo uno dei tanti che meriterebbero immediata attenzione, pensiamo anche agli individui impegnati in attività usuranti o alla vertenza connessa all'opzione donna - ci ha pensato l'INPS, che nella giornata di ieri ha reso noti i dati relativi alle proiezioni future concernenti gli importi delle pensioni minime.

Definire drammatica la situazione appare francamente un eufemismo, urge dunque una decisa inversione di rotta. In caso contrario, lo spettro della povertà prenderà forma per più di una classe generazionale.

Pensioni lavoratori precoci, Quota 62 e pensioni minime: Renzi, ecco perché cambiare - Addio agli aiuti statali, futuro più che mai incerto

Focalizzandosi in modo specifico sul caso pensioni lavoratori precoci lo stato di cose che si osserva è simile a quello rilevato nelle ultime settimane: la volontà di intervenire c'è, con le proposte più concrete a firma Cesare Damiano (Presidente della Commissione Lavoro). L'ex ministro punta in particolare su un'uscita fissata per tutti a 62 anni di età più 35 di contributi 'sponsorizzando' in alternativa la possibilità di concedere il pensionamento ai lavoratori che abbiano maturato almeno 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica di riferimento. Quest'ultima soluzione sarebbe ottimale in ottica pensioni lavoratori precoci, ma ci sarà da convincere il premier Renzi e da studiare una formula che abbia impatto zero sulle casse dello Stato. Boeri ha comunque pronta una manovra: l'idea è quella di tagliare le pensioni d'oro da minimo 3mila euro in su, prevedendo delle decurtazioni proporzionali all'incrementarsi dell'ammontare dell'assegno mensile.



E mentre dalle parti di Palazzo Chigi si continua a studiare delle misure che fra gli altri possano risultare decisive anche in ottica pensioni lavoratori precoci, l'INPS ha diffuso delle proiezioni più che allarmanti in merito ai futuri importi delle pensioni minime. Per intendersi, il minimo ad oggi è fissato a 502 euro, ma chi non riesce a raggiungere questa soglia riceve un'integrazione dallo Stato: ebbene, per quelle che oggi sono le nuove generazioni questo meccanismo compensativo non ci sarà più. Un dipendente di 30 anni che maturi 1000 euro al mese netti ne prenderà 408 di pensione, mentre un autonomo arriverà solo a 341; chi avrà maturato 20, 30 o 35 anni di contribuzione si ritroverà dunque con assegni evidentemente miseri e senza nessun possibile 'paracadute' differentemente da quanto prevedeva la Legge Dini. Gli anziani di oggi e quelli di domani attendono dunque delle risposte che il premier Renzi ha il dovere di dare adesso, senza se e senza ma. Poletti ha già fissato la deadline: dopo i decreti del Jobs Act il governo Renzi si occuperà di previdenza, staremo a vedere con quali esiti. Seguiremo tutti gli sviluppi, se desiderate rimanere aggiornati vi invitiamo a cliccare il tasto 'Segui' in alto a destra.