Laurearsi con 110 e lode a 28 anni non serve più a un fico secco, parola di del ministro Giuliano Poletti. Questa l’ultima infelice esternazione del ministro del Lavoro a proposito dei giovani studenti o ex tali, come se già non bastassero le enormi vessazioni e umiliazioni che questi sono costretti a subire incolpevoli. Dal suo pulpito di perito agrario senza laurea Poletti punta il dito contro chi, pur di strappare il massimo dei voti e cercare di dare un senso ad anni di studi e sacrifici, si laurea “troppo tardi”. Tra le parole in libertà del ministro – lo stesso, lo ricordiamo, che vuole mandare i liceali a lavorare d’estate “piuttosto che a girare per le strade” - anche un ripensamento del contratto nazionale, obsoleto rispetto alle mutate condizioni del mercato del lavoro.

Poletti: giovani troppo tardi sul mercato del lavoro

La laurea il signor Poletti non l’ha mai presa ma sembra sapere il fatto suo quando parla di lavoro, formazione e università. A proposito di voti e titoli il ministro ha infatti le idee molto chiare: “laurearsi con 110 e lode a 28 anni non serve a fico” molto meglio un mediocre 97 a 21. Sì, perché la determinante principale secondo Giuliano Poletti sarebbe il tempo: arriviamo sul mercato del lavoro in gravissimo ritardo, trovandoci in competizione durissima con i colleghi stranieri che si presentano con diversi anni in meno. Dunque, meglio prendere tutti 18. O forse, a questo punto, il ministro ha taciuto la raccomandazione di non prenderla affatto questa benedetta laurea.

Il confronto con i dati

Un problema reale questo, in paese dove cultura e istruzione fanno sempre più a pugni con le competenze professionalizzanti realmente cercate sul mercato del lavoro. Come rilevano il Manifesto e molte altre testate però, gli accorti suggerimenti di Poletti vacillano innanzi ai dati: quando parla del valore del voto infatti, Poletti sembra non aver ben chiaro neppure la differenza tra laurea magistrale e triennale.

Secondo i dati Ocse infatti in Italia abbiamo il 20% di minilaureati contro la media del 17% e di questi solo il 42% prosegue gli studi. Tutti gli altri si tuffano speranzosi nel mondo del lavoro proprio come vorrebbe il ministro. E anche chi decide di proseguire gli studi lavora, come testimoniano le statistiche Alma Laurea che dal 2004 evidenziano un +36% di stage e tirocini.

Sempre più sono gli studenti che lavorano per mantenersi gli studi, che altrimenti non potrebbero sostenere, vittime del precariato.

La svalutazione della laurea

Contrariamente alla peculiare visione del ministro dunque, i giovani studenti italiani lavorano prima, durante e dopo la laurea seppur con redditi bassi per non dire inesistenti. E troppo spesso vengono attaccati, umiliati e vilipesi, come se studiare fosse un lusso, un hobby e non un investimento fatto a fronte di enormi sacrifici per aspirare a un tenore di vita migliore. Assistiamo passivamente a una vera e propria battaglia contro l’università, contro la laurea, ormai relegata a semplice pezzo di carta, utile nel mondo del lavoro come un diploma di cintura marrone di Karate.

Poco importano le statistiche, la politica va per la sua strada, perseguendo una precisa idea del lavoro: non pagato, sottopagato e precario dove l’istruzione non conta nulla, è solo vezzo. Forse, allora, ha ragione il ministro Poletti: per i nostri giovani dopo la scuola non ha più senso andare all’università. Invece della laurea è molto meglio la tessera del partito.