La Corte Costituzionale, nel ricordare l'inviolabilità del diritto alla salute psico-fisica del disabile ( previsto dall'articolo 32 delle Costituzione) ha dichiarato incostituzionale la legge n.104/1992 e precisamente l’art. 33, comma 3 laddove esclude il convivente dal diritto ad usufruire del permesso mensile per assistere una persona disabile a lui vicina.

L’intento dei giudici della Consulta con la sentenza n.213 del 23 settembre 2016 non è stato quello di imporre un'equiparazione fra la figura del coniuge e quella del convivente, bensì di sottolineare come l’articolo 2 e 32 della costituzione intendono garantire e tutelare un diritto inviolabile, specialmente nei confronti di chi si trova in una situazione di oggettiva gravità.

A detta dei magistrati è quindi del tutto illogico che nell’elenco dei legittimati ad utilizzare i permessi retribuiti e mensili della Legge n 104 non vengano menzionati anche i conviventi. Ma facciamo un passo indietro, illustrando il caso di specie da cui trae origine tale autorevole pronuncia la cui ripercussioni concrete saranno abbastanza evidenti.

La Consulta boccia la legge 104: questa tutta la storia

La storia da cui tare origine la sentenza si incardina in procedimento sorto 3 anni fa tra una donna e l’ASL presso cui lavorava. Dopo che lavoratrice ha citato in giudizio l’ASL che non gli aveva riconosciuto l’uso dei permesso mensili, il Tribunale del lavoro ha sollevato questione di legittimità costituzionale.

I giudici del lavoro hanno infatti ritenuto l’insussistenza della pretesa della Asl che voleva recuperare dalla busta paga della dipendente gli importi dei permessi da lei utilizzati per assistere appunto il compagno affetto da morbo di Parkinson.

A questo punto intervengono i giudici della Consulta che nel mettere al centro l’interesse del disabile a ricevere sempre e comunque tutela, si schierano dalla parte della lavoratrice.

La questione di costituzionalità da lei sollevata avverso la legge n.104 è stata infatti ritenuta fondata. Nello specifico la Corte Costituzionale ha precisato che l’ordinamento non può ammettere disparità di trattamento tra il convivente e il coniuge quando si tratta di tutelare l'assistenza del disabile. Ne conseguirebbe infatti non solo una violazione dell’articolo 3 della Costituzione, ma anche una compromissione del diritto alla continuità delle cure nei confronti del disabile.

Tale inammissibile impedimento sarebbe giustificato solo in virtù di un dato 'normativo' rappresentato dal mero rapporto di coniugio o di parentela, e non per una obiettiva carenza di presupposti a livello affettivo.

Un esame approfondito del comma 3 dell’articolo 33, Legge 104/02 rileva infatti la sua contraddittorietà logica proprio perché si sacrifica di fatto il diritto primario alla salute psico-fisica del portatore di handicap, allorquando implicitamente si differenzia la condizione del convivente da quella del coniuge. I giudici quindi hanno concluso dicendo che la tutela della salute psicofisica va preservata sempre verso colui che ha un handicap o unamalattia grave e irreversibile sia in qualità di singolo che in quanto parte di una formazione sociale. Per altre info di diritto potete premere il tasto segui accanto al mio nome