Prime dichiarazioni post incontro Governo–sindacati e primi giudizi su quello che è fuoriuscito dal summit. Il Governo ha presentato il pacchetto previdenziale, o almeno una parte di esso, ai sindacati. Tra conferme, smentite e novità, i giudizi sulle misure che domani dovrebbero fare capolino nella Legge di Bilancio che verrà approvata dal Consiglio dei Ministri, sono contrastanti, divisi tra la soddisfazione e la delusione. Anche tra le forze sindacali, cioè le parti sociali sedute al tavolo, le posizioni sembrano non essere uguali. La verità è che il Governo, oggi ha presentato alcune novità, soprattutto sull’APE nella versione social che hanno spiazzato i sindacati.
Di colpo i requisiti per l’APE social si impennano
L’APE social è la versione a costo zero, senza penalizzazioni per determinate categorie di lavoratori o ex lavoratori che hanno bisogno di maggior tutela da parte dei Legislatori. In linea di massima, i possibili beneficiari dell’APE social sono tutti i soggetti, disoccupati, disabili, con familiari disabili o impegnati in lavori particolarmente onerosi, che dal 1° maggio 2017 (giorno in cui partirà effettivamente l’APE), avendo compiuto 63 anni di età, potranno scegliere di presentare domanda di pensione all’INPS. In pensione quindi, contando sul fatto che nel momento in cui si arrivi all’età pensionabile vera e propria, cioè 66,7 anni di età e quindi una volta finito il periodo di prestito (i 3,7 anni di anticipo massimo sono erogati da una banca in prestito), la pensione verrà erogata senza tagli dovuti alla rata di prestito da restituire.
Dopo il summit di oggi è uscita una evidente anomalia, rimarcata polemicamente anche dalla Camusso, leader della CGIL e parte in causa del tavolo di discussione. L’APE consente un anticipo rispetto alle soglie della pensione di vecchiaia che ripetiamo, oggi si percepisce a 66 anni e 7 mesi di età con 20 anni minimo di contributi versati.
L’APE social invece prevede la possibilità di accesso solo se si sono versati 30 anni di contributi nel caso di soggetti senza lavoro e senza coperture di ammortizzatori sociali o addirittura 35 per soggetti in continuità occupazionale. Evidente che i requisiti per accedere all’APE social si sono di colpo inaspriti, un sacrificio dovuto al tentativo nemmeno troppo celato di ridurre la platea di beneficiari e di ridurre i costi della misura.
Il Governo e la sua trovata dell’ultimo minuto
Sono troppi 30 anni di contributi per percepire, seppur in anticipo la pensione di vecchiaia. Questa la contestazione della CGIL al Governo, come riporta una ultim’ora della versione on line del quotidiano “il Corriere della Sera”. Per la Camusso, il Governo ha cacciato dal cilindro una soluzione su cui non si era mai, nemmeno vociferato. L’imminenza della Legge di Bilancio da approvare domani 15 ottobre, fa si che la CGIL reputi questo rimangiarsi la parola del Governo come una autentica furbata. In parole povere oggi, se non si hanno 30 o 35 anni di contributi, anche se si vive in condizioni precarie, se si è disoccupati, senza reddito o con problemi di disabilità propri o di propri familiari, non si potrà accedere alla pensione, se non pagando di tasca.
In teoria, due soggetti di 63 anni, ambedue disoccupati di lunga data, con redditi identici, avranno due destini diversi. Quello che ha avuto la fortuna di aver lavorato per 30 anni, potrà andare in pensione con l’APE a spese dello stato, mentre per quello che magari ha “solo” 29 anni di versamenti, dovrà subire il taglio del 4,5% per ogni anno di anticipo. Per la CGIL comunque un giudizio definitivo sarà dato solo dopo aver visto gli articoli inseriti in stabilità, perché nonostante le richieste, il Governo non ha reso disponibili ancora alcuni punti ed alcuni elementi del pacchetto che meritavano un approfondimento.