La Legge di Bilancio che presto sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale, era attesa soprattutto per le novità previdenziali. La speranza che venisse cancellata la Legge Fornero, cioè che nella manovra finanziaria ci fosse una vera riforma delle Pensioni è rimasta un sogno. Man mano che si discuteva della Legge di Bilancio, veniva evidenziata l’impossibilità del Governo a rispondere a tutte le richieste dei lavoratori. La Legge Fornero resta pienamente in vigore con tutto il suo impianto e la sua rigidità. Le misure introdotte nella manovra che è stata velocemente licenziata anche in Senato, a causa della crisi di Governo, sono solo dei piccoli ma importanti provvedimenti che per qualcuno serviranno a lasciare il lavoro prima.
Le due misure più famose sono la quota 41 per alcuni precoci e l’APE, che è la vera novità del pacchetto.
Un finanziamento bancario a tutto tondo
L’APE è la sigla con cui il Governo ha introdotto l’anticipo pensionistico. SI tratta della possibilità offerte ai lavoratori di andare in pensione di vecchiaia senza dover necessariamente attendere i 66 anni e 7 mesi che è l’età anagrafica da raggiungere per la quiescenza secondo le norme Fornero. A partire dai 63 anni e con 20 di contributi, i lavoratori dal prossimo 1° maggio potranno scegliere se lasciare o meno il lavoro. L’ingresso dell’APE nel sistema previdenziale aggiunge banche ed assicurazioni come soggetti terzi nel classico rapporto INPS-lavoratori.
Infatti, sarà una banca a sborsare i soldi per finanziare le pensioni anticipatamente erogate dall’INPS ai richiedenti l’APE. Una banca quindi fornirà la liquidità monetaria per pagare i lavoratori, ai quali spetterà l’onere di restituire quanto percepito in anticipo, una volta che si arriverà all’età normale per la vera pensione di vecchiaia, cioè i prima citati 66 anni e 7 mesi.
La banca naturalmente non presterà soldi in maniera gratuita, ma vorrà anche gli interessi (sembra tra il 4 ed il 5% annuo) e soprattutto una assicurazione a copertura del rischio morte dei pensionati in anticipo. L’INPS resta il soggetto che farà da tramite tra banca e pensionati, sia nel momento di anticipare la pensione, sia in quello della restituzione del prestito che avverrà mese per mese e per 20 anni.
Finiamola di chiamare pensione
L’APE quindi risponde all’esigenza di flessibilità del sistema previdenziale italiano, perché resta al lavoratore la scelta di andare in pensione prima, scegliendo la data di uscire tra i 63 anni ed i 66 e 7 mesi. Tecnicamente però, l’APE non è una vera e propria pensione, ma solo un prestito ottenuto dalle banche. L’APE non prevede la tredicesima mensilità di dicembre, non si aggiorna automaticamente con il sistema della perequazione e non è reversibile a causa di morte del pensionato, non passa a moglie o superstiti. La distanza dell’APE da una misura previdenziale è ancora più accentuata dalla versione sociale del provvedimento. Infatti, per disoccupati, invalidi e lavori logoranti, il Governo ha creato l’APE agevolata.
I beneficiari di questo “autentico” ammortizzatore sociale, non saranno costretti a restituire il prestito ottenuto, perché lo farà per loro conto lo Stato.
I disoccupati che da 3 mesi sono senza reddito perché hanno terminato di usufruire di Naspi e mobilità e gli invalidi a partire dal 74%, sono aiutati con questo speciale prestito agevolato. Lo stesso per chi ha familiari a carico con gravi disabilità. In questi casi però, non bastano 20 anni di contributi versati, ma ce ne vorranno 30. Lo stesso meccanismo a costo zero è offerto a lavoratori impegnati in attività gravose secondo l’elenco creato dal Governo e inserito in manovra. Sono 11 le attività gravose stabilite dal Governo e per questi salgono a 36 gli anni di lavoro necessari per l’accesso al prestito.
Necessario ancora avere 6 anni continuativi di lavoro in attività gravose prima di presentare domanda di APE. In definitiva, appare evidente la natura assistenzialistica e non previdenziale di questa APE sociale.