Finito il referendum, con la vittoria del no che di fatto apre la crisi di Governo con Renzi che ha già annunciato le proprie dimissioni, i lavori parlamentari proseguiranno sulla Legge di Bilancio 2017. La manovra va approvata entro fine anno e sicuramente il Presidente della Repubblica oggi, nell’accettare le dimissioni del Premier, spingerà per un esecutivo ponte che chiuda la partita con la manovra di Bilancio. Nulla cambia quindi dopo l’esito del referendum per le tanto attese norme sulle pensioni che sono parte importante ed integrante della Legge di Bilancio.

A conferma dell’ormai imminente ok anche del Senato, al pacchetto previdenziale inserito nella manovra, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha reso pubbliche le tabelle con tutti i beneficiari delle vie di uscita anticipata che entreranno nella Previdenza Italiana nel 2017.

Stop a interventi solo sul passato

Dall’UPB esce fuori una analisi che non può essere non condivisa sulle novità previdenziali messe in atto dal Governo. Per la prima volta, si è cercato di guardare avanti piuttosto che dietro, con interventi che mirano a coprire i soggetti che oggi si trovano vicini alla pensione e non solo quelli che lo erano negli anni immediatamente precedenti l’entrata in vigore della Legge Fornero. L’esempio lampante è il lancio dell’ottava salvaguardia esodati che grazie all’estensione approvata alla Camera, guarda al futuro concedendo l’uscita a coloro i quali vedranno decorrere la pensione entro il 6 gennaio 2019, cioè 7 anni dopo la riforma Fornero.

L’ottava salvaguardia consentirà a 30700 lavoratori di andare in pensione tra i quali i lavoratori collocati in mobilità che hanno perduto il lavoro entro il 31 dicembre 2014. Poi ci sono i lavoratori autorizzati a proseguire con i versamenti volontari e che raggiungeranno la pensione entro 7 anni dall’avvento della Fornero.

Infine, disco verde per tutti gli esclusi dalle precedenti salvaguardie, sempre che abbiano perduto il lavoro prima del 2012 e sempre che rientrino nella decorrenza di pensione al 6 gennaio 2019. Sono quelli in congedo per assistere familiari disabili, quelli con contratti a termine che non hanno trovato collocazione stabile dopo il 2011 e quelli cessati.

APE e quota 41

In parallelo all’ottava salvaguardia c’è l’estensione di opzione donna. Potranno lasciare il lavoro le lavoratrici che hanno compiuto 57 anni e 3 mesi di età (un anno in più per le autonome) entro il 31 luglio 2016 sempre che abbiano 35 anni di contributi completati il 31 dicembre 2015. Le novità previdenziali vere e proprie sono l’APE e la Quota 41, in vigore dal 1° maggio 2017. L’APE volontaria è la risposta alla domanda di flessibilità del mondo pensionistico. A partire da 63 anni di età, se si hanno 20 anni di contributi, si potrà lasciare il lavoro ricevendo una pensione in prestito dalle banche e che si dovrà restituire (con interessi e spese) quando si arriverà a 66 anni e 7 mesi di età in rate mensili e per 20 anni.

L’APE social invece è quella che non grava sui lavoratori, ma sullo Stato, perché sarà quest’ultimo a farsi carico della restituzione del prestito. In questo caso necessari 30 anni di contributi versati e misura che si rivolge a disoccupati senza ammortizzatori da almeno 3 mesi, disabili o con disabili a carico a partire da invalidità di almeno il 74%. Queste sono le stesse categorie di “disagiati” a cui si applica anche l’altra novità previdenziale, quota 41. Chi di questi ha 41 anni di contributi versati, a prescindere dall’età anagrafica, potrà lasciare immediatamente il lavoro. L’APE social è una misura sperimentale, perché scadrà il 31 dicembre 2018, mentre quota 41 è strutturale. Le due strade si applicano anche a chi svolge lavori gravosi da almeno 6 anni e continuativamente.

Il Governo ha emanato l’elenco delle attività considerate gravose, che sono 11 e vanno dagli edili alle maestre di asilo. Se per quota 41 il vincolo contributivo è sempre lo stesso, per l’APE sono necessari 36 anni di contributi versati.