Una delle critiche più feroci mosse al pacchetto previdenziale inserito nella manovra di Bilancio di fine 2016 è stata sulla caratteristica delle misure previste. Il carattere assistenziale delle misure appariva più importante e predominante di quello previdenziale. L’apparato normativo dell’APE, ma anche di quota 41, appariva più un intervento assistenziale che un vero e proprio intervento pensionistico. L’APE sociale infatti è destinata ad una parte di cittadini in condizioni di disagio. La risposta alle esigenze di flessibilità pensionistica del sistema previdenziale nostrano è l’APE volontario.

Adesso, in attesa che il Governo vari i decreti attuativi che lanceranno le misure, il Consigliere economico del Governo, Marco Leonardi annuncia che ci sono seri dubbi che le due versioni di APE, partiranno lo stesso giorno. A rischiare lo slittamento del via alla misura è l’APE volontario.

Per la versione volontaria serve più tempo

Nella sede del quotidiano “Il Sole24Ore” a Milano, l’ottava edizione del Convegno “Tuttolavoro “ è stata l’occasione per ascoltare un noto esponente del Governo, Marco Leonardi, sul tema riforma Pensioni. Secondo Leonardi, i tempi tecnici per avviare la piattaforma che consentirà ai lavoratori di richiedere l’uscita del lavoro tramite l’APE volontario, saranno più lunghi.

Difficoltà inferiori per la versione assistenziale dell’APE sociale, che seppure legata anch’essa ai tanto attesi decreti attuativi, essendo legata quasi esclusivamente all’INPS, partirà come da programma, il 1° maggio. Tra le righe è facile desumere che i problemi siano legati ai tassi di interesse delle banche, alle spese assicurative ed alle conseguenti convenzioni con ABI e ANIA, cioè con le associazioni bancarie ed assicurative che entreranno in scena come soggetti terzi tra pensionato ed INPS.

Numeri non quantificabili

L’APE volontaria è la versione di Anticipo Pensionistico destinata ai lavoratori con almeno 63 anni di età e 20 di contributi che, arrivati a 3 anni e 7 mesi dall’età per accedere alla pensione di vecchiaia, sceglieranno liberamente di lasciare il lavoro in anticipo ed accettare il prestito pensionistico previsto.

Dovranno accettare, a fronte di qualche anno di anticipo in uscita dal lavoro, di restituire la pensione anticipata alle banche che la hanno erogata. Questo, quando arriveranno a percepire la reale pensione loro spettante, a 66 anni e 7 mesi di età. Il prestito sarà restituito in 13 rate mensili di uguale importo e per 20 anni. In pratica, nella versione assistenziale, il debito contratto sarà a carico dello Stato, in quella volontaria invece, sarà a carico del pensionato. Per l’APE sociale, secondo Leonardi, si può già ipotizzare il numero dei probabili aventi diritto, che dovrebbero essere 50.000 nei prossimi 2 anni. Per l’APE volontario invece, il dato è meno certo. Questo perché per l’APE sociale, i richiedenti sono soggetti disagiati che non hanno scelta, perché disoccupati, invalidi, con invalidi a carico o impegnati in attività di lavoro pesanti che ne suggeriscono l’uscita.

Per l’APE volontario invece, non si può prevedere quante persone vorranno accettare la forte penalizzazione di assegno prevista in virtù della rata di prestito da restituire. Il problema è che la tanta pubblicizzata flessibilità in uscita dal lavoro, appare strettamente legata proprio alla versione volontaria di anticipo, quella che rischia di essere posticipata a data incerta.