Luci e ombre caratterizzano il rapporto annuale Svimez (Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno) sullo stato dell’economia al Sud Italia.
La prima ombra è rappresentata dall'atavico gap Nord-Sud. L’associazione stima in dieci anni il ritardo del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord per uscire dalla crisi. Ma le speranze di ripresa non mancano, la distanza tra le due “Italie” si riduce, e fra il 2015 e il 2016 la crescita al Sud ha addirittura timidamente superato quella al Nord. Uno sforzo l’Italia meridionale sembra averlo, dunque, compiuto e se si riuscirà a ridurre la politica di austerity europea e realizzare infrastrutture moderne, anche il Mezzogiorno potrà tornare a correre.
Anche se gli effetti dei due decreti per il Mezzogiorno non sono ancora riscontrabili, è un dato di fatto che l’industria manifatturiera faccia da traino per questa ripresa, con gli investimenti e consumi in questo settore che si attestano al 2,9%. Le manovre messe in campo si concentrano sulla destinazione di risorse pari al peso della popolazione (34%) a partire dal 2018, e a questa si aggiungono: le zone economiche speciali, il piano Industria 4.0, il credito d'imposta per gli investimenti, le agevolazioni contributive per le nuove assunzioni, i contratti di sviluppo di Invitalia, ed il Masterplan costituito da patti governativi con Regioni e Comuni.
Il lavoro emergenza principale
Quasi inutile sottolineare qual è la vera emergenza che affligge questa parte della nazione.
Il paradosso a cui si assiste è che l’eccellenza manifatturiera non riesce a reggere da sola il peso della ripresa, perché il tessuto sociale che la circonda e dovrebbe rifornirla di linfa vitale sta collassando.
Il rischio di desertificazione intellettuale è evidente, e la fuga di cervelli è un fenomeno che non trova, nell'immediato, soluzione di continuità.
Ogni anno, dal Sud emigra una quantità di gente pari a quella di una media città, la natalità crolla, e la questione è ancora più preoccupante se si considera che un tempo emigravano le fasce più povere della popolazione, oggi i migliori talenti.
Servirebbero almeno quasi altri 400mila occupati per ritornare ai livelli dell’occupazione pre-crisi del 2008, e la povertà assoluta al 10% pesa come un macigno sulle speranze di ripresa.
Questo stato di fatto rischia di penalizzare ulteriormente l’Italia a livello internazionale, con l'aumento del distacco da un'Europa che continua a correre. Ciò contribuisce alle spinte separatiste del Nord, velleità irragionevoli, considerando tanto più il potenziale mai pienamente sfruttato del sud.