Il Def con la sua nota di aggiornamento è passato e adesso l’attenzione ed il lavoro di Governo e Parlamento è sulla Legge di Bilancio. Tra i tanti punti che come consuetudine faranno capolino nella manovra finanziaria di fine anno, le Pensioni sono tra quelli più importanti. Una riforma della Fornero che tutti vorrebbero mettere in atto, ma che per via delle finanze dello Stato, risulta di difficile attuazione. Ad ottobre ripartiranno gli incontri che il Governo convocherà per continuare il lavoro previdenziale con i sindacati. Ad oggi, ripetute indiscrezioni, dichiarazioni delle parti in campo e proposte, sono quotidiane e continue.
Il Governo dal canto suo è in evidente difficoltà, tra diktat europei, risorse esigue, sentieri stretti (citazione Poletti) e interventi generalizzati impossibili.
Vietato sognare
La posizione del Governo è abbastanza chiara ed anche il Def ha confermato come i soldi disponibili siano pochi, perché c’è da mantenere gli impegni per il rinnovo del contratto dei lavoratori statali e per il rilancio occupazionale. A questo c’è da aggiungere che anche l’Inps e la Ragioneria di Stato hanno sottolineato come l’aspettativa di vita e la probabile pensione a 67 anni dal 2019 (ma anche quella che arriverà a 43 anni e 3 mesi di contributi), siano un vero e proprio obbligo, necessario per la sostenibilità del sistema previdenziale e per le casse dell’Istituto di Previdenza che altrimenti potrebbe non essere più in grado di pagare le pensioni.
Nel frattempo, come imposto dalla UE, la disparità di genere tra uomini e donne in sede di requisiti pensionistici, deve scomparire. Dal 2018 anche le donne centreranno la pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi. Un evento che si scontra con le proposte relative a ipotetici sconti per le donne che sacrificano la carriera ed il lavoro per i figli e per i lavori di cura della famiglia.
Stop all’aspettativa di vita
I sindacati continuano il pressing per quanto concerne lo stop alla pensione a 67 anni che sarebbe prevista per il 2019. Se davvero questo aumento di soglie di accesso è necessario al sistema, andrebbe quantomeno limata la misura. Per i sindacati, con Barbagallo e la sua UIL in prima fila, se proprio non si può congelare l’aumento, andrebbe differenziato in base alla tipologia di lavoro svolta.
La vita media degli italiani, in base agli ultimi dati Istat, sono di 87 anni per le donne ed 82 per gli uomini. Inevitabile pensare che sia socialmente opprimente costringere lavoratori impegnati in attività pesanti, a rimandare la pensione a 67 anni. senza contare che anche sull’Ape sociale per lavori gravosi, molte categorie sono rimaste fuori dall’anticipo e molte sono davvero attività logoranti, come i vigili urbani o il lavoratori agricoli tanto per citarne alcune. Su questo argomento il 3 ottobre la FLAI, branca del settore Agroalimentare della CGIL presenterà una raccolta firme per correggere la Legge Fornero e per permettere ai lavoratori del settore di rientrare nell’Ape agevolato.
Quota 100
I sindacati, tra petizioni (anche la UIL ne ha indetta una), minacce di mobilitazione e proposte unitarie, chiedono correttivi urgenti, in barba ai numeri del Def. Per di più, numeri alla mano, secondo la UIL ci sarebbero 6 miliardi di euro risparmiati dai Fondi per usuranti ed esodati, nonché per opzione donna, che attualmente sono stati utilizzati per altre esigenze di bilancio pubblico e non per le pensioni. Basterebbe ridestinare i soldi allo scopo per i quali erano stati messi da parte per far ripartire l’ipotesi riforma. Se per le estensioni di platea dell’Ape sociale o di quota 41 per precoci, o per rimodulare il paletto dell’aspettativa di vita, le difficoltà di copertura sono evidenti, ancora peggio è la situazione per quanti propongono quota 100.
Una misura che piace a molti lavoratori e che potrebbe davvero sistemare la mancanza di flessibilità del sistema. La misura è autentico cavallo di battaglia di Damiano e della sua Commissione Lavoro. Parte integrante della sua proposta di riforma prevista nel DDL 857 fermo in Parlamento dal 2015, la quota 100 di Damiano consentirebbe di uscire dal lavoro a partire dai 62 anni di età. Questo purché la somma di età anagrafica e contributi versati dia 100. In pratica ne basterebbero 38 a chi ha compiuto 62 anni per andare in pensione prima. Essendo un meccanismo a quota, validi anche le frazioni di anno sia per età che per contribuzione, il tutto all’insegna della flessibilità. La quota 100 di Salvini e della sua Lega Nord sarebbe ancora più vantaggiosa, coprendo anche i lavoratori precoci e con alto numero di contributi. Si partirebbe dai 58 anni di età con 42 di contributi per proseguire con 59 e 41, 60 e 40 e così via. Sensazioni? Difficili tutte e due, se non proprio impossibili da attuare.