Era agosto 2014, e la legge di conversione del c.d. decreto "del Fare" permise a migliaia di giovani laureati di entrare negli uffici giudiziari di tutta Italia per svolgere un tirocinio di 18 mesi al fianco di un magistrato assegnatario, da allora conosciuto come "tirocinio ex art. 73", valido, in alternativa alla scuola di specializzazione ed al titolo di avvocato, per sostenere il concorso di magistratura. Si tratta di un tirocinio selettivo, riservato ai giovani con meno di 30 anni, laureati in Giurisprudenza con un voto pari o superiore a 105.

I risultati evidenti di tale intervento sono stati il significativo smaltimento degli arretrati giudiziari e la velocizzazione del lavoro dei giudici, dai piccoli Tribunali circondariali fino alla Corte di Cassazione.

Tuttavia, nessuna forma di remunerazione era stata prevista; solo dopo molte iniziative, lettere al Ministro della giustizia pro tempore e raccolta di firme, venne finalmente predisposto nel 2015 un riconoscimento economico per tale fondamentale contributo al sistema giudiziario, mediante un sistema di "borse di studio", legate all'indice ISEE ed erogate dal Ministero della Giustizia con cadenza tendenzialmente annuale, anche se con ritardi frequenti.

Per un pugno di euro

In pratica, da lunedì al venerdì e per un minimo di sei ore al giorno, al Tirocinante viene offerta la possibilità, dopo almeno un anno, di chiedere di beneficiare di una borsa di studio per l'attività svolta, pari a circa 400 euro mensili.

Tuttavia, tale strumento è legato ad indici reddituali ed attribuito con priorità agli appartenenti a famiglie meno agiate. Nel corso del tempo però, gli Uffici giudiziari hanno assorbito sempre più giovani tirocinanti, senza badare al fatto che i fondi per le borse di studio sarebbero stati sostanzialmente dello stesso importo del 2013.

Summus ius, summa iniuria

Così, a giugno del 2017, oltre 1500 tirocinanti in tutta Italia non sono rientrati nella graduatoria annuale stilata sulla base del reddito delle famiglie. Fondi insufficienti e magri redditi, dichiarati “anche fraudolentemente”, dicono i malpensanti. Ciò ha aumentato a dismisura il disagio dei Tirocinanti, già consapevoli del resto che il proprio tirocinio, sebbene con finalità “idealmente” formative, ha in realtà un non celato intento di sostenere l’Amministrazione della Giustizia in tale fase di sofferenza, sia per la cronica carenza di organico – per cui sono stati recentemente banditi, dopo anni, concorsi per centinaia di posti – che per lo smaltimento di circa tre milioni e mezzo di cause arretrate.

Via allo sciopero

Tale situazione ha convinto un gruppo di promotori, rappresentati da associazioni o persino mediante un tam-tam autogestito tra colleghi e amici, con il supporto dei Social network, a promuovere nel paese un simbolico “sciopero” per giorno 22 novembre, con diffusione di materiale di denuncia e l’astensione dalle udienze ed attività previste dal tirocinio per tutta la giornata. I tirocinanti in Tribunale non sono i soli a scontare le "devianze del sistema"; nota a tutti è la dura gavetta per conseguire l'abilitazione forense per la professione di Avvocato, il cui praticantato obbligatorio non viene quasi mai remunerato dagli Studi Legali e le "spese vive" sono anch'esse a carico dell'apprendista, in barba ad elementari obblighi deontologici.

Non se la passano meglio i praticanti dei Notai, degli studi dei Commercialisti e dei consulenti del Lavoro.

Lo Stato, pessimo "cliente"

Come se non bastasse, la condizione dei tirocinanti presso l’Avvocatura dello Stato è, economicamente, forse anche peggiore, considerando anche che dallo Stato ci si aspetterebbe il migliore esempio; l’art. 9, comma 4, D.L. 90/2014, convertito con la Legge 114/2014 ha previsto un fondo, costituito dalla vecchia retribuzione accessoria degli Avvocati dello Stato, destinato a borse di studio, e composto dal 25% delle spese legali a carico delle controparti soccombenti nelle cause contro le Amministrazioni pubbliche, in piena coerenza con l’obiettivo di razionale gestione delle risorse a disposizione.

Malgrado l'azione legale intentata da una parte del personale togato dell'Avvocatura in sede TAR, la recentissima pronuncia della Corte Costituzionale n. 236/2017 ha confermato la piena legittimità costituzionale della disposizione. Eppure, la previsione non ha ancora una specifica attuazione, lasciando privi del dovuto riconoscimento economico i vecchi e nuovi praticanti da oltre 4 anni, oltre a disincentare nuovi giovani qualificati ad intraprendere tale percorso, con pregiudizio, in ultima analisi, degli stessi interessi dell’intera Avvocatura. Anche il Coordinameno nazionale dei Praticanti dell'Avvocatura dello Stato ha espresso, con un comunicato, il proprio sostegno ai colleghi dei Tribunali.