Di recente abbiamo trattato come la Legge di Bilancio 2018, che è in discussione in Parlamento in questo periodo, contenga una norma che raddoppierà il contributo a carico delle aziende che licenziano, anche se il provvedimento si applica, principalmente, alle procedure di licenziamento collettivo.
Ora, anche la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dell'argomento. E nell'ordinanza n°26309/17 del 7 novembre 2017 fornisce delle utili indicazioni per capire quale sia la procedura corretta da seguire per fare opposizione ad un provvedimento di licenziamento notificato al lavoratore mediante raccomandata con ricevuta di ritorno.
Vediamo, quindi, di delineare i passaggi suggeriti dalla Cassazione, sperando, comunque, di non averne mai bisogno.
Per la Corte di Cassazione la contestazione non basta
Gli ermellini, nell'ordinanza sopra citata, prima di entrare nel dettaglio dei termini di impugnazione veri e propri, tengono a precisare che nel momento in cui ci viene notificato il licenziamento non è sufficiente limitarsi ad inviare al datore di lavoro una nostra raccomandata nella quale dichiariamo di opporci al provvedimento.
È vero che questo basta per manifestare l'intenzione di opporsi. Ma se ci si limitasse al solo invio della raccomandata questo avrebbe, come unico risultato, di impedire al lavoratore di chiedere ed ottenere la tutela giudiziale.
Per di più il licenziamento si legittimerebbe e non sarebbe più possibile pretendere il risarcimento dei danni.
I termini di impugnazione indicati dalla Corte
I termini indicati dal Giudice di legittimità sono, essenzialmente, due. In primo luogo, entro e non oltre 60 giorni dalla notifica a mezzo raccomandata del provvedimento di licenziamento deve essere inviata una contestazione specifica del provvedimento nella quale deve essere chiaramente indicato che, in caso di necessità, si farà ricorso al giudice.
La contestazione deve essere inviata con un mezzo idoneo a provare il ricevimento della stessa. Quindi, si può utilizzare sia la raccomandata che la Pec o far inviare la comunicazione tramite il proprio sindacato o il proprio legale, ovviamente munito di idonea procura.
Successivamente, entro 180 giorni dell'invio della comunicazione di contestazione il lavoratore deve, a sua tutela, depositare il ricorso contro l'azienda presso la cancelleria del Tribunale adito. Se ciò non avviene anche la prima raccomandata di contestazione perde efficacia. Questa, quindi, la procedura corretta da seguire per il Supremo Collegio.