Il contratto dei lavoratori statali sta per essere rinnovato e con ogni probabilità, a gennaio i dipendenti statali potrebbero vedersi aumentare lo stipendio. Viene messa la parola fine all’annosa questione del blocco de contratto e viene messo in atto quanto reso obbligatorio dalla sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2015. L’Aran ha presentato la bozza di contratto con tutte le novità su diversi aspetti del lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni come fuoriuscite dalla riforma che il Ministro Madia ha portato a termine nei mesi scorsi.
Il rinnovo con l’adeguamento degli stipendi che per questi lavoratori risultano fermi da 8 anni però verrà fatto a cifre largamente inferiori a quanto speravano i sindacati, che a dire il vero erano anch’esse cifre inferiori a quanto perduto effettivamente dai lavoratori. ecco un quadro di quello che è successo ai lavoratori, gravemente vessati dalla perdita di potere di acquisto del loro stipendio che non è stato adeguato per anni al tasso di inflazione.
Questione di numeri
In primo luogo il numero dei Dipendenti Pubblici a cui dovrebbe essere sistemato il “salario” è inferiore a quanto sarebbe l’organico effettivo dei lavoratori. Nella relazione tecnica che fa da accompagnamento alla proposta di Legge, come sottolinea l’Anief in un comunicato ufficiale, vengono estromessi i dipendenti dell’area dirigenziale ai quali l’aumento se mai sarà previsto, verrà fatto con voci, capitoli e finanziamenti a parte.
Dai 3,2 milioni di dipendenti pubblici si scende a 2,7. I 2,85 miliardi stanziati nella Legge di Bilancio con l’aggiunta di quanto messo da parte con la manovra 2016 e con il DEF, cioè altri 1,2 miliardi non bastano a soddisfare la promessa del Governo di prevedere aumenti di 85 euro a testa seppur lordi. Una promessa che era oggetto della bozza di intesa che anche i sindacati hanno sottoscritto nel novembre 2016 ma che oggi risulterebbe disattesa.
Servirebbero secondo le parti sociali almeno 5 miliardi e la differenza tra i soldi disponibili e quelli necessari sarebbero a carico delle Amministrazioni Locali, quindi comuni, regioni e così via. Tutti Enti che sono già vessati dai tagli delle erogazioni del Governo Centrale degli ultimi anni e che per trovare i soldi dovrebbero tagliare altri servizi che naturalmente sono di utilità pubblica.
Ecco come dovrebbero essere gli aumenti
Parliamo solo di aumento di stipendio, ma la questione in ballo presenta anche arretrati. Il blocco di 8 anni ha avuto il suo apice nel 2012 con la Legge Fornero. Questo perché proprio il blocco alla perequazione voluto dal Governo Monti e dal Decreto Salva Italia è stato bocciato dalla Corte Costituzionale. La Consulta tacciò di incostituzionalità il blocco della Fornero e ordinò di fatto al Governo di provvedere a riparare la situazione. In considerevole ritardo rispetto alla sentenza, adesso il Governo è chiamato ad erogare arretrati per il 2016 e 2017. A dire il vero i sindacati spingevano per arretrati a partire dal giorno di pubblicazione della sentenza, ma quanto prevede l’attuale Esecutivo escluderebbe dal dovuto l’ultimo quadrimestre 2015.
Altri 4 mesi perduti, ma questo probabilmente è il problema meno grave perché ci sarebbe quello delle cifre. Secondo la relazione tecnica, gli arretrati sarebbero pari ad una erogazione una tantum di 500 euro circa a testa. Con queste cifre lo stipendio dei lavoratori salirebbe dello 0,38% per il 2016 e dell’1,09% nel 2017. Più corposi ma altrettanto insufficienti gli aumenti per il 2018, che saranno erogati mese per mese. Si sale al 3,48% di aumento medio pro capite, percentuale che secondo l’Anief è pari alla metà di quanto spetterebbe in base ai tassi di inflazione ed a quanto dovuto come vacanza contrattuale per gli anni di blocco. Questo dando per buono l’aumento di 85 euro che come dicevamo è abbastanza problematico da garantire.
Secondo le stime, l’indennità di vacanza sarebbe pari al 7% dello stipendio medio, ossia 170 euro circa al mese in più di busta paga. A queste andrebbe aggiunto un altro 7% come aumento vero e proprio portando la cifra intorno alle 350 euro di aumento lordo che al netto sarebbero 200 euro in più per mese. Va ricordato che la Costituzione prevede l’ancoraggio degli stipendi al tasso di inflazione, pertanto l’aumento pari al 50% dell’inflazione avuta negli anni di blocco, che sarebbe quanto previsto dalla vacanza contrattuale, rappresenterebbe un diritto già acquisito ed incancellabile.