Se per i lavoratori ministeriali o delle agenzie fiscali la fumata bianca relativa al rinnovo del contratto è arrivata intorno a Natale, per gli altri comparti della Pubblica Amministrazione i tempi rischiano di essere più lunghi. Questo se la situazione la si vede con un po’ di ottimismo, perché i più scettici mettono in dubbio addirittura l’intesa. A febbraio gli arretrati ed a marzo gli aumenti strutturali di stipendio è quello che il Governo vorrebbe portare a termine per chiudere l’operazione prima dell’elezione del nuovo Esecutivo. Nel comparto della Scuola, quello più ampio come numero di dipendenti e quello che presenta gli stipendi più bassi mediamente la situazione appare ancora più complicata.
I sindacati, nelle dichiarazioni che vanno ad accompagnare i vari incontri per la trattativa, sembrano scettici circa la buona riuscita dell’operazione, almeno stando a quanto viene offerto da parte dell’Aran. Ma perché questi problemi?
I numeri
Il 3,48% in più a lavoratore calcolato sul montante delle retribuzioni medie di ciascun comparto. Questo il piano messo a punto dal Governo quando a dicembre si arrivò all’accordo per il comparto della PA Centrale. Si tratta del settore della Pubblica Amministrazione più piccolo, con “solo” 240mila dipendenti. Evidente che per gli altri comparti la situazione è più drastica numericamente. Più dipendenti vuol dire maggiori spese complessive da parte dello Stato ma anche una maggiore pluralità di lavoratori e di fasce retributive.
Nella scuola per esempio si contano 1,2 milioni di dipendenti, tra docenti, assistenti tecnici o amministrativi e collaboratori scolastici. Come garantire a tutti gli aumenti da 85 euro promessi è il nodo da sciogliere, soprattutto perché proprio nella scuola esistono le retribuzioni più basse tra tutti i comparti. Conti alla mano, all’incontro odierno si arriverà con quel 3,48% di cui parlavamo prima che tradotto significa aumenti da 59 euro per gli Ata e 75 ai professori.
Questo quanto riporta il noto sito di settore “tecnicadellascuola.it” riportando i calcoli del quotidiano economico-finanziario “Il Sole 24 Ore”.
I sindacati
Dall’Unicobas, sindacato della scuola, ci tengono a sottolineare come la vicenda contratto bloccato che dura da quasi un decennio abbia eroso parte del potere di acquisto dello stipendio di tutti i lavoratori pubblici, scuola compresa.
Conti alla mano, come escono da una analisi della Cgil, sono 15mila euro netti quelli che i lavoratori anno per anno hanno accumulato alla voce perdite da contratto bloccato. Gli arretrati che dovrebbero arrivare per febbraio (nel comparto che ha chiuso l’operazione, perché nella scuola se tutto va bene non si partirà prima di aprile) per il comparto saranno da 300 euro una tantum e riferiti all’anno 2016 e 2017 e nient’altro. Anche sulle cifre di aumento spettante le distanze sembrano tante, con 35 euro di aumento netto considerando tutto il personale scuola, dai docenti agli Ata. Cifre distanti da quanto perduto negli anni e distanti pure dall’accordo del novembre 2016 quando Governo e sindacati trovarono l’intesa sulle ormai celebri 85 euro di aumenti medi e lordi a testa.
A poco servirà l’elemento perequativo che l’Aran propone per le fasce retributive più basse perché trattasi di una ventina di euro a testa e lordi da erogare per 10 mesi tanto per garantire anche ai dipendenti meno ricchi cifre leggermente superiori di aumento.