Il rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici è cosa fatta, almeno per quanto riguarda i dipendenti ministeriali e quelli delle amministrazioni centrali. L’accordo sul rinnovo che il Ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia ha annunciato sul suo profilo Twitter in anteprima il 30 dicembre, dopo la riunione tra Aran e sindacati, riguarda al momento solo i 250mila dipendenti statali. Per gli altri comparti ancora niente anche se l’intenzione dell’Esecutivo è quella di estendere il modello anche agli altri. Al riguardo oggi 2 gennaio è in calendario l’ennesimo summit tra Aran e sindacati, questa volta per il comparto Scuola.
Gli aumenti di stipendio e gli arretrati saranno i medesimi del comparto della Pubblica Amministrazione Centrale. Proprio sulle cifre però quanto pubblicizzato, cioè le famose 85 euro di aumento e gli arretrati tra 370 e 712 euro sono cifre distanti da quello che i lavoratori troveranno in busta paga. Ecco nel dettaglio cosa dovranno attendersi i dipendenti e in che mese scatterà l’operazione.
Aumenti di stipendio
La storia degli 85 euro lorde a testa proviene dal primo di una serie di accordi trovati tra parti sociali ed Esecutivo. Nel novembre 2016 ci fu la prima fumata bianca su quello che oggi è diventato realtà, il rinnovo di un contratto che mancava nel Pubblico Impiego da quasi un decennio.
Quel giorno si stabilì un aumento medio a dipendente pari ad 85 euro, con il Governo che considerava la cifra al lordo delle tasse e con le parti sociali che pretendevano un aumento di 85 euro netti e per ogni singolo dipendente. Il nuovo contratto prevede un aumento con cifre lorde, dalle quali vanno detratte le tasse. Come riporta il sito ufficiale dell’Anief, sindacato del comparto scuola tra i più critici nei confronti della soluzione trovata, nelle tasche dei lavoratori finiranno non più di 40 euro a testa di aumento.
Anche sulla tempistica il sindacato è alquanto critico, perché sembra certo che il primo stipendio aggiornato arriverà solo a marzo.
Periodo 2016-2017
Il rinnovo scaturisce da una sentenza della Corte Costituzionale dell’estate 2015 relativa al blocco della Fornero. Il decreto Salva Italia infatti chiese un sacrificio ai lavoratori del Pubblico Impiego che si videro congelati gli adeguamenti del loro salario all’inflazione.
Un blocco per gli anni 2012 e 2013 che la Consulta tacciò di incostituzionalità. Ecco perché il Governo che allora era guidato da Renzi iniziò a lavorare sul rinnovo che solo dopo la riforma Madia è divenuto realtà. La Consulta però non stabilì di rimborsare ai lavoratori quanto perduto per il blocco dello stipendio illegittimo secondo i giudici costituzionalisti, ma solo di sbloccare lo stipendio. Quanto spettante di arretrato ai lavoratori pertanto è solo il mancato rinnovo successivo alla sentenza, in pratica dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017 o meglio, dal 2016 al mese in cui si prevede arrivino i rimborsi, anche in questo caso a marzo 2018. La soluzione è un rimborso che in finanza si potrebbe chiamare a “saldo e stralcio”, una cifra una tantum e figurativa, cioè che va a cancellare quanto spettante al lavoratore anche se inferiore a quanto effettivamente doveva percepire.
SI parla di arretrati tra i 370 ed i 712 euro cadauno, ma sempre al lordo e diversi in base alle fasce retributive, con gli aumenti maggiori a quelle più alte. Secondo l’Anief la tassazione di riferimento eroderebbe di un buon 35% le cifre di cui parla il Governo. Un rimborso medio che non supererà i 230 euro a lavoratore. Cifre distanti dagli oltre 2.600 euro che sarebbero gli arretrati dovuti se si considerano le cifre di aumento mensili che secondo la sigla sindacale dovrebbero partire dal mese di settembre 2015, quando la sentenza della Consulta fu pubblicata, cioè 4 mesi prima degli arretrati che il Governo ha concesso. Senza considerare la vacanza contrattuale che adesso l’Anief vuole tornare a chiedere all’Aran e che dovrebbe concedere ai lavoratori un altro aumento di stipendio pari al 50% del tasso di inflazione per ogni anno in cui il contratto non era rinnovato.