La Fornero deve essere cancellata, almeno secondo Salvini e la sua Lega. Questo il pensiero del leader del carroccio che ha messo la riforma previdenziale come condizione necessaria per aprire un qualsiasi dialogo per accordi di Governo. Forse meno radicalmente ma anche il Movimento 5 Stelle in cima ai provvedimenti urgenti da fare ha messo proprio la riforma delle pensioni. Il presidente dell’Inps Boeri però continua a sostenere l’impossibilità di intervenire drasticamente sulle pensioni per via della sostenibilità dell’intero sistema previdenziale.

Resta il fatto che in campagna elettorale l’abrogazione della Legge Fornero probabilmente è stata uno dei fattori che più ha inciso sull’esito del voto del 4 marzo. Adesso si tratta di passare dalle parole ai fatti su un provvedimento che se non venisse attuato inciderebbe negativamente sul consenso avuto dalle le due forze politiche che hanno vinto le elezioni. Mai come adesso quindi le possibilità che davvero si intervenga a riformare quanto stabilito dal Governo Monti nel 2012 appaiono reali.

Quota 100

Un articolo del settimanale generalista “Panorama” del 12 marzo presenta tutte le misure in cantiere che, se mai dovesse nascere un Governo, potrebbero fare capolino nell’ordinamento previdenziale.

Prima di tutte la quota 100, misura che garantirebbe flessibilità al sistema previdenziale con i lavoratori che potrebbero andare in pensione ad età e contributi diversi gli uni dagli altri. Una misura che si regge sulla somma matematica di contributi ed età con la soglia 100 da raggiungere. Si potrebbe andare in pensione con 60 anni di età e 40 di contributi, con 61 anni di età e 39 di versamenti, 59 e 41 e così via.

Quota 41

Se quota 100 risulta un cavallo di battaglia della Lega, Quota 41 per tutti è misura comune anche al M5S. L’anzianità contributiva minima per accedere alla pensione senza guardare all’età dei lavoratori sarebbe di 41 anni. La pensione anticipata che oggi si centra con 42 anni e 10 mesi (per le donne un anno in meno) sarebbe più fruibile anche guardando a quanto succederà nel 2019, quando ci sarà l’ennesimo aumento di 5 mesi per via dell’aspettativa di vita.

SI tratta grosso modo di un ritorno alle vecchie pensioni di anzianità, quelle per le quali bastavano 40 anni di contributi come previsto dalla normativa antecedente la riforma Fornero.

Pensione anticipata donne

Sempre nell’ottica della flessibilità anche lo scivolo anticipato per le donne è argomento che potrebbe entrare nella nuova riforma. Opzione donna è una misura che permette alle donne di lasciare il lavoro con 35 anni di anzianità contributiva e 58 di età. A fronte di questo evidente anticipo di pensione, alle lavoratrici viene chiesto un netto sacrificio economico, con la pensione calcolata con il sistema contributivo che è più penalizzante. La misura è stata attiva per molti anni ma adesso è stata cancellata sempre per via dei conti pubblici.

Questo nonostante per via della penalizzazione a cui le donne sono chiamate optando per lo scivolo, l’impatto in termini di costi per le casse dello Stato non appare esorbitante.

Le pensioni già in essere

Non saranno le pensioni a 1.000 euro che Berlusconi sbandierava ai sette venti in campagna elettorale ma anche il Movimento 5 Stelle ha una sua personale soluzione alle pensioni minime. Di fianco all’ormai famoso reddito di cittadinanza a 5 Stelle potrebbe nascere la pensione di cittadinanza. Una sorta di integrazione per quei pensionati che vivono con assegni previdenziali ben al di sotto della soglia di povertà. In pratica si porterebbero le pensioni minime a 780 euro per i pensionati singoli ed a 1.170 per quelli con coniuge a carico.

Queste soglie sono proprio quelle relative alla povertà come stabilite dall’Istat annualmente. In definitiva un pensionato con assegno da 500 euro al mese e singolo si vedrebbe accreditare la differenza fino a 780 euro, cioè 280 euro in più al mese.