È la prima volta dal 2012 che la Legge Fornero, l’ultima riforma previdenziale che si può davvero considerare così, vacilla per davvero. Da anni si parla di contro-riforma, di cancellazione delle norme che il Governo Monti inserì nel sistema previdenziale in un periodo di grave crisi economica. Il sistema italiano si regge ancora oggi su quella tanto odiata riforma ed anche nei ripetuti incontri tra Governo e sindacati in tema previdenziale, o in campagna elettorale da parte di tutti i partiti, l’argomento contro-riforma è stato sempre centrale.
Le elezioni dello scorso 4 marzo hanno decretato il successo di due delle forze politiche che più sponsorizzavano la cancellazione della riforma Fornero, cioè la Lega ed il Movimento 5 Stelle. Adesso che sembra pronto un nuovo Esecutivo a guida di tutte e due queste forze politiche, le probabilità che si passi dalle parole ai fatti sono molte. A consolidare questa “sensazione”, il fatto che nel contratto di Governo tra Di Maio e Salvini è entrata proprio la nuova riforma previdenziale. Via libera dunque a quota 100 e quota 41? Ecco come funzionerebbero davvero le due misure
Quota 41 e aspettativa di vita
Con il nuovo Governo sembra che si possa davvero tornare alle vecchie Pensioni di anzianità che proprio il Governo Monti cancellò.
Naturalmente non si andrà in pensione con solo 40 anni di contributi versati e senza limiti anagrafici come consentiva la pensione di anzianità di una volta. Si tratta di allargare a tutti i lavoratori la quota 41 che da due anni è appannaggio di determinate categorie di soggetti. Come riporta il quotidiano “Il Sole 24 Ore”, le misure di cui tanto si parla sono sempre le stesse e presentano sempre gli stessi problemi di costi.
Ecco perché rispetto a come dovevano essere inizialmente, paletti e limiti le renderanno meno onerose per lo Stato. Quota 41 oggi è fruibile solo a soggetti disagiati che raggiungono i 41 anni di contributi. Disoccupati, caregivers, invalidi e lavori gravosi sono le categorie a cui la misura viene resa fruibile oggi non appena si completano i 41 anni di lavoro necessari.
Nessun vincolo anagrafico ma da 2019 serviranno 41 anni e 5 mesi di contributi per via dell’aspettativa di vita che sarà applicata anche a quota 41. E così succederà anche con la pensione di anzianità con la quota 41 per tutti, se davvero il nuovo Governo la renderà misura vigente. In pratica per l’intero universo dei lavoratori, con 41 anni e 5 mesi si potrà andare in pensione, quasi 2 anni prima della soglia per la pensione anticipata che ricordiamo, si centra con 42 anni e 10 mesi fino a fine anno (41 anni e 10 mesi per le donne) e con 43 anni e 3 mesi dal 2019 (sempre un anno prima le donne).
La flessibilità
Tra le accuse che più comunemente si muovevano sulla riforma Fornero era la mancanza di flessibilità in uscita dal lavoro, cioè pensioni troppo rigide e con requisiti troppo pesanti e senza distinguo.
La risposta a questa esigenza di flessibilità per il probabile nuovo Esecutivo sarà la quota 100, una pensione concessa quando la somma di età e contributi darà 100. Un ritorno alle pensioni con le quote dunque, con valide al calcolo anche le frazioni di anno. Una misura che consentirebbe a molti di evitare di dover arrivare ai 67 anni di età utili per la pensione di vecchiaia dal 2019, ma senza esagerazioni per via degli alti costi della misura stessa. Ci dovrebbe essere una età minima da raggiungere prima di poter accedere a quota 100. Indiscrezioni indicano come i 64 anni l’età minima da cui partire e che per consentire l’accesso alla pensione, dovrebbe essere corredata da 36 anni di lavoro.
Si scenderebbe a 35 per i 65enni e 34 per i 66enni, tutte soluzioni però, che non risolvono la pensione troppo in là negli anni per chi ha intorno ai 20 o poco più anni di contributi. Introduzione della nuova flessibilità quindi, ma con paletti molto stretti, tra i quali i contributi figurativi che sarebbero limitati a 2 o 3 anni al massimo come validi al computo del requisito contribuivo.