Se davvero dovesse nascere un esecutivo a tinte giallo-verdi, cioè guidato da Movimento 5 Stelle e Lega, la previdenza sociale italiana subirà uno scossone. Dopo la pubblicazione del contratto di Governo sembra vicina la chiusura di un accordo che finalmente darà al paese un nuovo esecutivo e tra i punti cardine del contratto (spalmato su 40 pagine e 29 punti) c’è un ritocco alle previdenza con l’inserimento di nuove norme pensionistiche. Autentico cavallo di battaglia di Lega ed anche del M5S, la nuova riforma previdenziale sembra davvero ad un passo, anche se a dire il vero la cancellazione della Legge Fornero non sarà fatta per davvero, o almeno non del tutto.

Saranno inserite nuove misure previdenziali che consentiranno a molti lavoratori si non sottostare alle pesanti regole pensionistiche lasciate in eredità dal Governo Monti.

Tre misure

Come recita un articolo del settimanale “Panorama” di ieri 17 maggio, la riforma previdenziale targata Di Maio-Salvini si reggerà su tre pilastri. Si tratta della pensione di anzianità con quota 41, di quota 100 e di Opzione Donna. Le Pensioni di vecchiaia che oggi si centrano a 66 anni e 7 mesi di età e che dal 2019 si centreranno con 67 anni di età, non vengono intaccate. L’età pensionabile di 67 anni (valida anche per l’assegno sociale) resterà invariata e sarà l’unica via di uscita dal lavoro per soggetti che hanno almeno 20 anni di contributi e carriere non tanto lunghe da permettere di entrare nelle due vie di uscita con le quote.

La riforma inserita al punto 16 del contratto di Governo non prevede nulla per coloro che hanno carriere contributive corte, che continueranno ad andare in pensione con le regole attuali e con i peggioramenti che l’aspettativa di vita dal prossimo anno imporrà.

Discorso diverso per la pensione di anzianità, quella che la Fornero ribattezzò pensione anticipata e che con il nuovo Governo sarà più facile centrare.

Oggi la pensione anticipata si percepisce se si completano 42 anni e 10 mesi di contributi per i lavoratori uomini, mentre sono necessari 41 anni e 10 mesi per le donne. Anche per le pensioni anticipate il 2019 segnerà lo scatto peggiorativo di 5 mesi che porterà la pensione a 43 anni e 3 mesi di contributi per i maschi e 42 anni e 3 mesi per le donne.

Con quota 41 estesa a tutti è evidente la concessione di diversi anni di anticipo rispetto alle soglie attuali e soprattutto future. Se mai dovesse entrare nell’ordinamento, quota 41 significherebbe, per esempio, pensione nel 2019 con 2 anni e 3 mesi di anticipo rispetto al previsto per molti lavoratori uomini.

Donne e pensioni minime

Per le donne il vantaggio sarebbe inferiore di un anno perché un anno è l’anticipo loro concesso dalla pensione anticipata oggi in vigore. La novità per le lavoratrici “in gonnella” sarebbe la riapertura di Opzione Donna, pensione anticipata con 35 anni di contributi e 58 anni di età. Una misura a costo ridotto per lo Stato perché le donne che sceglieranno questo evidente anticipo, devono accettare il calcolo di assegno con il metodo contributivo che in soldoni significa lasciare tra il 30 ed il 40% dell’assegno previdenziale spettante senza l’opzione.

La prima misura che dovrebbe partire a Governo avviato però sarebbe quota 100. Una misura di flessibilità pensionistica vera, con la pensione che si centra quando la somma di età e contributi darà 100. Servono per esempio 66 anni e 34 di contributi, oppure 62 e 38 e così via. La flessibilità sarebbe garantita anche dal sistema quota in senso stretto, con le frazioni di anno valide al calcolo della quota 100.

Per le pensioni in essere invece, la soluzione del nuovo esecutivo sarebbe la pensione di cittadinanza, una sorta di pensione minima fissata a 780 euro al mese. Per quanti non raggiungono quella cifra ed hanno redditi sotto la soglia di povertà, la differenza verrebbe sanata da una erogazione a parte e fino ad arrivare proprio a 780 euro.