Mentre si susseguono le voci e le indiscrezioni sulle nuove misure previdenziali che il nuovo Governo vorrebbe adottare, cioè quota 100 e quota 41, i lavoratori italiani nel 2019 per la loro pensione dovranno fare i conti con un altro inasprimento dei requisiti. Nessuna novità, tutto già previsto e scritto perché si tratta dell’inasprimento di 5 mesi collegato all’aspettativa di vita che influirà sulle date di uscita dal lavoro della stragrande maggioranza dei cittadini. Un aumento dei requisiti di accesso che colpirà quelli che possono essere considerati i due pilastri del sistema previdenziale, la pensione di vecchiaia e quella anticipata.

L’aumento però non colpirà tutti i lavoratori perché alcune categorie di essi potranno beneficiare di un abbuono di 5 mesi sui requisiti richiesti a partire dal 2019 e fino al 2020. Bisogna però presentare una particolare domanda e va fatta contemporaneamente alla domanda di pensione.

Pensioni nel prossimo biennio

La pensione di vecchiaia fino a fine anno si centra con 66 anni e 7 mesi di età a prescindere che il richiedente sia uomo o donna. Servono contestualmente anche 20 anni di contributi. L’equiparazione di genere è una novità del 2018 perché dal 1° gennaio le donne hanno perduto l’anno di anticipo previsto fino a tutto il 2017. La pensione anticipata, che si chiama così dai tempi della Fornero e che sarebbe la vecchia pensione di anzianità, si centra con 42 anni e 10 mesi di lavoro per i maschi e con 41 anni e 10 mesi per le donne.

Dall’anno venturo, quindi dal 1° gennaio, per entrambe queste misure, serviranno 5 mesi in più. Per la pensione di vecchiaia sarà necessario aver compiuto i 67 anni, mentre per le Pensioni anticipate, senza limiti anagrafici, occorreranno 43 anni e 3 mesi di contribuzione previdenziale per gli uomini e sempre un anno in meno per le donne.

I soggetti esclusi dall’aumento dei requisiti

La Legge di Bilancio 2018, come riporta un articolo del quotidiano “Il Sole 24 Ore” ha stabilito che i lavori gravosi o gli usuranti, saranno esclusi da qualsiasi inasprimento per l’aspettativa di vita per il prossimo biennio. Si tratta delle 15 categorie di lavoro gravoso previste come beneficiarie di quota 41 ed Ape sociale, dalle maestre di asilo ai lavoratori edili, dai facchini alle infermiere o ostetriche delle sale operatorie.

Stesso discorso e stesso abbuono per i lavori usuranti per i quali anche nel prossimo biennio, con 35 anni di contribuzione completata, ci sarà la possibilità di pensionamento a 61 anni e 7 mesi. I lavori usuranti sono quelli svolti da operai che lavorano in cave e miniere, in gallerie o spazi stretti e angusti, quelli che trattano lo smaltimento dell'amianto, gli autisti dei mezzi di trasporto pubblico adibiti al trasporto di 9 o più persone, operai addetti alle linee a catena, i palombari e i lavoratori notturni.

La domanda

L’articolo del Sole 24 Ore offre lo spunto su alcune novità interpretative circa le modalità di presentazione delle domande all’Inps in virtù della fruizione di quello che può benissimo essere considerato uno sconto in termini di requisiti per le pensioni a tutte queste categorie di lavoratori.

La domanda infatti, potrà essere presentata anche con una semplice autocertificazione circa l’attività gravosa o usurante svolta. L’autocertificazione però dovrà essere allegata all’istanza di pensione vera e propria e sarà l’Inps a verificare la veridicità della dichiarazione. Questa modalità si rivolge dunque ad una doppia platea di lavoratori. In primo luogo a quanti si troveranno ad avere almeno 30 anni di contributi versati nel 2019, dei quali almeno 7 degli ultimi 10 devono essere collegati ad una delle 15 attività gravose prima citate. In secondo luogo per chi rientra nei lavori usuranti e si troverà a partire dal prossimo 1° gennaio ad aver chiuso quota 97,7.