Maria Pallini, parlamentare del M5S e capogruppo in Commissione Lavoro alla Camera, ha confermato il deposito della proposta di legge sul taglio degli assegni cosiddetti d’oro. La prossima settimana il provvedimento inizierà il suo iter e per molti pensionati, l’eventuale via libera alla proposta sarà un vero salasso. Nel mirino della proposta gli assegni superiori ai 4.500 euro al mese, sia Pensioni che vitalizi. Quanto si perderà di pensione e quali pensionati subiranno il taglio? Ecco le ultime novità su questo argomento.

Il ricalcolo contributivo

Le pensioni con assegni netti superiori a 4.500 euro al mese saranno ricalcolate con il metodo contributivo. In pratica, come riporta un'analisi del quotidiano “Il Sole 24 Ore” di ieri, verrà ricalcolata la quota di pensione che molti di questi pensionati hanno ottenuto con il metodo retributivo. Un ricalcolo per i periodi di lavoro successivi al 1996 e ciò significa un taglio ad effetto retroattivo per coloro che hanno parte della pensione (come stabilito dalla Fornero, il calcolo contributivo per molti è scattato per periodi di lavoro successivi al 2011) calcolata con il più vantaggioso sistema. La proposta è stata elaborata con un testo di 12 pagine, 7 articoli e 2 tabelle con spiegazione del meccanismo di ricalcolo.

Salvaguardati dal taglio i pensionati invalidi e gli inabili, oltre che alle pensioni di reversibilità per particolari categorie di pensioni, come quelle delle vittime di attentati terroristici.

Problema costituzionale e ricorsi in arrivo

Per il quotidiano “Il Secolo d’Italia” più che taglio si deve parlare di stangata. In un articolo di ieri 19 settembre, nel commentare la proposta depositata, si critica l’apparato tecnico del provvedimento.

Molti pensionati che percepiscono assegni, oggettivamente superiori alla media di tutti gli altri pensionati, subiranno tagli anche del 25%. La proposta depositata presenta novità rispetto al precedente atto conosciuto come “DL D’Uva-Molinaro” che fu depositato ad agosto. Dalle pensioni a partire da 5.000 euro al mese si è passati a quella a partire da 4500 euro.

Il meccanismo alla base del progetto è sempre quello del confronto tra il coefficiente di trasformazione e l’età con cui si è lasciato il lavoro, e il limite vigente per la pensione di vecchiaia. Più che un ricalcolo contributivo, il quotidiano parla di tagli in base all’età di uscita dal lavoro. Nell’articolo sono riportati esempi evidenti di ciò che subiranno questi pensionati. Tanto prima un soggetto è riuscito ad andare in pensione in virtù delle norme vigenti in quella data, tanto più subirà di taglio. Secondo alcuni esempi, chi è andato in pensione a 66 anni si vedrà decurtata la pensione, probabilmente dal 1° gennaio prossimo, di un buon 3,3%. La percentuale di decurtazione sale in maniera costante quanto prima si è lasciato il lavoro.

Chi ha visto la sua pensione decorrere dai 64 anni rischia poco meno del 10% di taglio. Molto pesante la penalizzazione per chi ha lasciato il lavoro prima dei 60 anni, perché stando alle stime del Secolo d’Italia, la sforbiciata supererà il 25%. E si ipotizzano già contenziosi e ricorsi, perché su tagli retroattivi sulle pensioni, la Corte Costituzionale già in passato è stata chiara, reputandoli incostituzionali. L’unico taglio che per la Consulta sembra ammissibile, almeno stando alle recenti sue sentenze, resta un contributo di solidarietà, ma mai ed in nessun caso un taglio retroattivo su pensioni stabilite con regole e norme vigenti che in pratica sancivano un patto tra Stato e pensionato. Un patto siglato con le regole di allora che adesso il governo sembra intenzionato a cambiare.