Da anni si parla di una carenza evidente del sistema previdenziale che è quella della flessibilità pensionistica. La legge Fornero ha aumentato questa mancanza nel nostro ordinamento pensionistico, con requisiti di accesso troppo severi ed anche troppo rigidi che di flessibilità hanno ben poco. Pensioni che continuano a salire come requisiti e ad allontanarsi sempre di più dai lavoratori sono problematiche che la politica da tempo cerca di risolvere. Il superamento della riforma Fornero tanto sbandierato durante la campagna elettorale delle scorse elezioni politiche non è stato fatto, ma è indubbio che le novità che il governo si accinge a produrre allargherebbero le possibilità di pensione per gli italiani, dotando il sistema di una certa flessibilità in uscita.

Nel decreto che domani sarebbe dovuto finire in Consiglio dei Ministri (indiscrezioni dicono che il CDM potrebbe slittare alla prossima settimana), i punta a varare opzione donna, la quota 100, la proroga di un anno dell’Ape sociale e un freno all’aspettativa di vita per le pensioni anticipate. Le nuove misure almeno stando alla bozza del decreto, sarebbero tutte opzionali, perché lasciano al lavoratore la possibilità di scegliere per l’anticipo di pensione o restare al lavoro. Secondo un eloquente articolo di approfondimento del quotidiano “Il Sole 24 Ore”, con quanto si accinge a fare l’esecutivo giallo-verde, diventerebbero 7 i canali di uscita anticipata per le pensioni in azione a partire dall’anno appena entrato.

Canali di uscita flessibili

Non sarà una misura che abbraccia su larga scala quanti vorrebbero lasciare prima il lavoro, ma la quota 100 è una misura di pensione anticipata, opzionale e flessibile. Si potrà andare in pensione a nuovo canale varato, dai 62 ai 66 anni di età una volta maturati anche 38 anni di contributi versati.

Zero penalità sulla misura, niente ricalcolo contributivo o tagli di assegno in base agli anni di anticipo, ma la pensione viene comunque ridotta dal minor numero di anni di contributi che si vanno ad accumulare (da 1 a 5 in meno) e dai coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Per questo sta ai lavoratori scegliere se aderire o meno alla quota 100, perché chi vuole può comunque continuare a lavorare e attendere gli anni successivi (la misura vale fino al 2021) per sfruttarla o per scegliere altre vie di uscita.

Per la quota 100 va ricordato che per quanti hanno già centrato i requisiti al 31 dicembre, la pensione si dovrebbe poter prendere ad aprile, mentre per quelli che li centrano a 2019 in corso, bisognerebbe attendere 3 mesi per la decorrenza del primo rateo di pensione (agli statali riservata una attesa di 6 mesi). A libera scelta dei lavoratori anche opzione donna che consentirebbe a lavoratrici dipendenti nate fino al 31 dicembre 1960 o autonome nate fino al 31 dicembre 1959, di lasciare il lavoro con 35 anni di contributi ma con assegno previdenziale tagliato dall’obbligo di ricalcolo contributivo della pensione.

I disagiati

Anche i precedenti governi avevano cercato di mettere mano alle pensioni ed alla legge Fornero, partorendo due misure che sono sembrate più assistenziali che previdenziali.

Ci riferiamo a quota 41 e Ape sociale, entrambe ancora attive nel 2019, la prima strutturale e la seconda prorogata dal governo Conte. Anche in questo caso, misure opzionali ma che si rivolgono a disagiati reddituali, lavorativi o con disabilità. La quota 41 non prevede limiti di età, essendo una pensione basata esclusivamente sul requisito dei contributi che devono essere naturalmente 41, con almeno uno versato prima dei 19 anni di età. L’Ape sociale invece permette di uscire a partire dai 63 anni con almeno 30 o 36 anni di contributi. I destinatari delle due misure, disagiati come dicevamo, sono disoccupati che da 3 mesi hanno terminato il periodo di disoccupazione coperto da Naspi, gli invalidi con almeno il 74% di disabilità e soggetti che hanno a carico invalidi sempre con il 74% di invalidità accertata.

Inoltre, nelle due misure rientrano soggetti alle prese con attività lavorative considerate gravose, dagli agricoli agli edili, dalle maestre di asilo agli infermieri delle sale operatorie ed ai camionisti. Per i gravosi servono 36 anni di contributi, mentre per gli altri 30.

Le altre vie di uscita

Restano pienamente fruibili le pensioni di vecchiaia classiche, che dal 2019 sono salite a 67 anni di età per uomini e donne, con i 20 anni di contributi minimi richiesti che restano identici al 2018. Le pensioni anticipate scollegate da limiti di età restano anch’esse ferme ai requisiti 2018 per via del blocco all’aspettativa di vita che l’attuale esecutivo ha deciso di imporre nel decreto. Anche nel 2019 pertanto le donne andranno in pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi mentre gli uomini a 42 anni e 10 mesi.

La decorrenza delle pensioni però scatta con tre mesi di ritardo, cioè 3 mesi dopo aver raggiunto i requisiti per via del nuovo meccanismo a finestre messo dentro la misura. Usuranti, isopensione e Ape volontario sono gli altri 3 canali di uscita flessibile, ma sono misure particolari e non facili da centrare o da accettare. L’Isopensione necessita di accordo tra aziende e sindacati e permette l’anticipo di 7 anni rispetto alla pensione di vecchiaia. L’assegno di prepensionamento verrebbe pagato agli ex lavoratori dalle aziende al fine di perseguire obbiettivi di innovazione e ricambio generazionale. Per gli usuranti invece resta attivo il canale di uscita a 61 anni e 7 mesi con almeno 35 di contributi e con contestuale raggiungimento della quota 97,6.

Una misura rivolta ad una platea di soggetti molto ristretta e con attività svolte molto particolari, come i lavoratori notturni, i minatori, gli autisti dei mezzi di trasporto pubblici o quelli soggetti a restare al lavoro ad alte temperature o in spazi ristretti. Infine l’Ape volontaria, un canale che permette l’uscita a 63 anni e con solo 20 di contributi, ma la pensione altro non è che un prestito bancario ricevuto sotto forma di assegno previdenziale mese per mese. Un prestito da restituire alle banche con tanto di interessi e spese assicurative una volta raggiunta la vera pensione di vecchiaia a 67 anni.