Decurtazioni di assegno e penalizzazioni sono argomento molto dibattuti quando si parla di quota 100, cioè della nuova misura previdenziale che il Governo ha varato nel maxi-decreto della settimana scorsa. Nella misura non c’è alcuna penalizzazione come più volte ribadito da soggetti vicini al dossier Pensioni dell'esecutivo, con il Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini in prima linea. Le pensioni erogate con quota 100 però saranno di importo inferiore a quelle che spetterebbero applicando la Legge Fornero. Questo il concetto ribadito a più riprese dai detrattori del provvedimento.

Un taglio del 25% come sottolineato anche dal Sole 24 Ore. Quota 100 è una misura opzionale proprio perché sarà il lavoratore a dover scegliere, in base alla convenienza della misura nei suoi confronti, se restare al lavoro o sfruttare l’anticipo. Di conseguenza, per molti lavoratori che fanno parte della platea di potenziali destinatari del nuovo canale di uscita, optare per quota 100 potrebbe non essere così conveniente.

Coefficienti e contributi

Le pensioni in Italia, come importi, si calcolano in base ai contributi che un lavoratore ha versato durante la sua vita lavorativa. Il totale di questi contributi forma il cosiddetto montante contributivo, che poi deve essere trasformato in pensione passandolo per dei coefficienti di trasformazione.

Anche se quota 100 non ha penalizzazioni insite nella sua struttura normativa, cioè non ci sono tagli per anni di anticipo o calcoli con sistemi penalizzanti, tutti i pensionati optanti percepiranno un assegno inferiore a quello che avrebbero ricevuto restando al lavoro fino alle date di uscita previste dalla Legge Fornero.

Uscire a 62 anni per un lavoratore ancora in attività significa versare circa 5 anni in meno di contributi sia che si faccia riferimento alla pensione di vecchiaia a 67 anni, come prevede oggi la normativa, sia riferendosi alla pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi di contributi. Cinque anni in meno di contributi significano inevitabilmente una pensione più bassa, che diventa ancora inferiore per via del coefficiente di trasformazione, tanto meno favorevole quanto più grande è l’anticipo in termini di uscita per la pensione.

Divieto di cumulo e finestre

Chi sceglierà il nuovo canale di uscita dal mondo del lavoro deve quindi considerare di andare a percepire una pensione che sarà di importo inferiore a quella che aveva immaginato prima della riforma, anche se la percepirà per un periodo più lungo. La maggiore anzianità in termini di contributi infatti dà diritto ad un 5% in più di pensione per ogni anno in più in cui si rimane al lavoro. Per chi ha già 62 o più anni di età, ma non ha ancora i 38 anni di contributi necessari, il vantaggio in termini di anticipo va ad assottigliarsi sempre di più. Allo stesso tempo chi è troppo giovane (sotto i 62 anni), ma ha già 38 anni di contributi, potrebbe scegliere di arrivare a 42 anni e 10 mesi come prevede la Fornero.

Soluzioni che consentirebbero ai lavoratori di ottenere una pensione più alta restando al lavoro ancora per un po’. A questo svantaggio in termini di assegno previdenziale si deve aggiungere quello derivante dalla finestre di uscita che, in effetti, riducono anche in questo caso il vantaggio dell’anticipo. Per soggetti di 65 o 66 anni il meccanismo delle finestre allontana le prestazioni di 3 mesi (per gli statali attesa di 6 mesi) e quindi si riduce il vantaggio rispetto ai 67 ani della pensione di vecchiaia. Infine c’è da fare i conti con il divieto di cumulo del reddito da pensione con quota 100 con altri redditi da lavoro. La pensione, che come abbiamo detto sarà di importo più basso del previsto, non potrà essere arrotondata con altri redditi da lavoro per tutto il periodo che intercorre dalla data di uscita per la pensione con quota 100 fino ai 67 anni per le quiescenze di vecchiaia. Gli unici redditi cumulabili con quello saranno massimo 5.000 euro annui provenienti però da lavoro autonomo occasionale.