Una delle misure del decreto Pensioni, che probabilmente non sono molto pubblicizzate come invece la quota 100 o opzione donna è senza dubbio la cosiddetta pace contributiva. Si tratta della possibilità che il governo concede a molti lavoratori di sistemare la propria posizione previdenziale andando a recuperare i periodi della loro carriera lavorativa che non sono utili ai fini pensionistici. Una opzione che prevede condizioni più favorevoli di quelle classiche, con oneri ridotti e con un meccanismo semplificato. La notizia del giorno, come la riporta il noto quotidiano Il Sole 24 Ore riguarda una proposta che mira ad allargare le maglie di questa misura rispetto a come è stata creata ed inserita nel decreto n° 4 del 2019, che in queste ore è in Parlamento per la sua conversione in legge.

Tra gli emendamenti infatti ce ne sono un paio che riguardano strettamente la pace contributiva che potrebbe essere utilizzata da molti per vedere di raggiungere i requisiti per la pensione nel 2019.

Una misura sperimentale

La validità della pace contributiva è triennale, cioè vale per il 2019, 2020 e 2021. Infatti il provvedimento del governo è sperimentale e si rivolge a lavoratori dipendenti, ai lavoratori autonomi e chi ha versamenti nella gestione separata o nelle gestioni sostitutive ed esclusive Inps. Nel decreto la misura riguarda coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1° gennaio 1996, quelli che pertanto non hanno versamenti antecedenti. La norma semplifica di molto lo strumento del riscatto dei periodi non lavorati che esiste da tempo ma che per via dei costi e dei vincoli previsti, non ha mai riscosso un successo importante negli anni passati.

Con la pace contributiva si risolve il nodo delle tassative ipotesi previste dal decreto legislativo 564/96 e si offre l’occasione di recuperare periodi non coperti da contribuzione tra un lavoro ed un altro come per esempio periodi non coperti da ammortizzatori sociali. Nel decreto si stabilisce che l’onere è a carico del lavoratore a meno che non ci sia accordo con il proprio datore di lavoro che potrebbe subentrare nel pagamento destinando alla misura le quote dei premi di produttività spettanti al lavoratore.

Il versamento del corrispettivo, che sarà calcolato sulla base delle retribuzioni dell’ultimo anno di lavoro precedente la data in cui si dà il via all’operazione riscatto, può essere fatto in unica soluzione o in 60 rate mensili senza interessi, cioè in 5 anni di tempo. Adesso che il decreto pensioni è in Parlamento si valutano proposte e correttivi e sulla pace contributiva si pensa ad allargare il numero di rate raddoppiandole.

Gli emendamenti

Nel riscatto normale, quello che abbiamo conosciuto negli anni passati, le rate previste erano fino ad un massimo di 120 e quindi in 10 anni di tempo sempre senza alcun interesse. Una delle proposte che dovrebbero entrare in Commissione Lavoro al Senato, come sottolinea Il Sole 24 Ore mira ad estendere a 120 rate anche la pace contributiva. Un emendamento spinge per estendere a 10 anni la possibilità di rateizzazione con rate minime di 30 euro al mese. In pratica, potrebbe essere possibile riscattare i periodi non utili alla pensione a partire da quelli versati dopo il 1995, rendendoli buoni e andando a pagare mese per mese dal 2019 al 2029. Un aspetto che va chiarito comunque è quello che se questi contributi servono per l’immediata liquidazione della pensione, il versamento della somma residua delle rate dovrà essere fatta in soluzione unica.

La pace contributiva potrebbe diventare ancora più appetibile per i cosiddetti lavoratori stagionali, categoria che di norma rientra a pieno titolo tra i precari. Un secondo emendamento, che dovrebbe seguire la stessa trafila del primo e quindi, entrare in valutazione in Commissione Lavoro a Palazzo Madama, allarga i periodi sanabili per i lavoratori stagionali. Per questi ultimi la proposta chiede che la possibilità di riscatto venga estesa anche ai periodi precedenti il 1996, estendendola di fatto all’intera vita lavorativa.