Recentemente la I Sezione Civile della Corte di Cassazione ha emesso la Sentenza n° 23114 depositata in Cancelleria il 17 settembre 2019 nella quale ha ampliato la portata del concetto di concorso di colpa al caso di un'erronea erogazione di assegno pensionistico da parte dell'Inps ad un soggetto che non dovrebbe beneficiarne. Il Supremo Collegio, in estrema sintesi, ha infatti stabilito che se l'errore di erogazione potrebbe essere riscontrato dal beneficiario grazie all'ordinaria diligenza può configurarsi il suo concorso di colpa all'evento dannoso nei confronti dell'Ente previdenziale.

I fatti che hanno determinato la decisione della Corte

La Corte di Cassazione si è trovata di fronte al caso di un cittadino bergamasco che nel 2009 aveva richiesto all'Inps il proprio estratto contributivo per verificare la possibilità di andare in Pensione. L'Ente previdenziale, dopo circa un mese, comunicava all'assicurato che il numero dei contributi a suo carico risultavano utili al conseguimento dell'assegno pensionistico. Di conseguenza, il ricorrente bergamasco rassegnava le dimissioni dal proprio lavoro per collocarsi in pensione a decorrere dal mese di aprile 2010. Se non che qualche mese dopo, il ricorrente riceveva un comunicazione per lettera raccomandata da parte dell'Ente previdenziale che lo avvisava del fatto che la sua pensione non sarebbe più stata erogata a partire dal mese di dicembre 2011.

E questo in quanto, da un ulteriore controllo effettuato dall'Inps, era risultato che i contributi relativi ad un periodo di 4 anni e 4 mesi risultavano appartenere ad altro soggetto assicurato con lo stesso cognome e la stessa data di nascita del ricorrente. In effetti, si trattava del fratello gemello del ricorrente. Non solo, ma con una ulteriore lettera raccomandata, nel corso del 2011, l'Inps sollecitava il ricorrente alla restituzione di 53.000 euro circa a titolo di Pensioni indebitamente percepite.

In primo grado, il ricorrente chiedeva il risarcimento del danno patito a causa della prima comunicazione dell'Inps, rivelatasi poi errata. In sede di Appello le ragioni del ricorrente venivano parzialmente riconosciute. Infatti, la Corte d'Appello di Brescia riformava parzialmente la sentenza di primo grado riconoscendo al ricorrente un indennizzo pari a 1960 euro netti al mese a decorrere dal mese di cessazione della pensione e da erogarsi da parte dell'Inps per un periodo di 12 mesi.

La Corte d'Appello, infatti, aveva ritenuto sussistente la responsabilità risarcitoria dell'Inps. L'Ente previdenziale, infatti, non sarebbe stato in grado di provare l'inevitabilità dell'errore o della sua commissione per causa non imputabile ai suoi uffici. Nello stesso tempo, la Corte d'Appello riteneva che non potesse escludersi un concorso di colpa del ricorrente in base al disposto dell'articolo 1227, 2 comma, del Codice civile. Infatti, per la Corte d'Appello, il ricorrente avrebbe potuto facilmente sincerarsi della correttezza dell'operato dell'Inps o meno confrontando i dati presenti sull'estratto certificativo con quelli presenti sul libretto di lavoro che gli era stato restituito.

Tenendo anche conto del fatto che a carico del ricorrente assicurato è sempre previsto un onere di leale collaborazione con l'Ente previdenziale. Contro la decisione della Corte d'Appello l'Inps ha proposto ricorso per Cassazione.

Le motivazioni della decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ricorda, innanzitutto, come l'Inps debba sempre rispondere delle erronee comunicazioni della posizione contributiva rese a seguito di specifica domanda dell'interessato. E questo in base ai poteri di indagine e certificazione di cui l'Ente previdenziale dispone in base al disposto dell'articolo 54 della Legge 9 marzo 1989 n° 88. Si tratta di una responsabilità di natura contrattuale da parte dell'Inps, ribadisce il Supremo Collegio.

E questo in quanto tale responsabilità ha natura legale e deriva da un rapporto intercorrente tra le parti. Di conseguenza, alla fattispecie può applicarsi opportunamente l'articolo 1218 del Codice Civile che pone a carico del debitore, cioè l'Inps in questo caso, l'onere di provare che l'inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile.

D'altra parte, riconosce la Cassazione, l'assicurato ha l'obbligo di intervenire per interrompere il processo che determina l'evento produttivo del danno se l'erroneità dei dati forniti dall'Inps sia riscontrabile usando l'ordinaria diligenza all'interno della sua normale sfera di conoscibilità. Se questo intervento dell'assicurato non si realizza e, comunque sia, il soggetto presenta domanda di pensione, la condotta del soggetto è tale da concorrere al verificarsi dell'evento dannoso.

Di conseguenza, il giudice adito potrà legittimamente, in armonia con il disposto dell'articolo 1227, comma 1, del Codice civile limitare l'importo del risarcimento del danno. In pratica, con il suo comportamento negligente, fa notare la Corte di Cassazione, l'assicurato ha aggravato le conseguenze dell'evento dannoso pur non essendone stato la causa. Per tali motivi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale presentato dall'Inps e quello incidentale presentato dall'assicurato compensando tra le parti le spese di lite.