Le Pensioni nel 2020 potrebbero tornare ad aumentare, sempre che il governo decida di dare ascolto alle richieste dei sindacati. Se c'è una cosa che sembra essere al centro dell'interesse delle parti sociali in materia pensionistica è proprio la rivalutazione delle pensioni. Un argomento che le parti sociali hanno assunto a loro autentico cavallo di battaglia, tanto è vero che dopo essere già in passato scesi in piazza su questa materia, minacciano nuove mobilitazioni per novembre. C'è da scommettere che domani 11 ottobre, nel nuovo summit tra governo e parti sociali, queste ultime torneranno forte a spingere affinché in manovra di Bilancio venga inserita la rivalutazione piena degli assegni pensionistici.

Si tratterebbe di un ritorno al passato, perché verrebbe ripristinato il meccanismo precedente quello varato dal governo Lega-M5S ad inizio 2019, che ha penalizzato di parecchio le pensioni di importo superiore alle 3 volte il trattamento minimo.

L'idillio iniziale tra governo e sindacati sembra finito

Appena insediatosi il governo giallorosso ha riscontrato una certa soddisfazione da parte dei sindacati, contenti perché dopo mesi di silenzio, un esecutivo avesse riaperto la cosiddetta "stagione dei confronti". Da un evento nazionale tenutosi il 9 ottobre scorso al Forum di Assago, i segretari di Cgil, Cisl e Uil hanno sottolineato come adesso il governo debba passare dalle parole ai fatti. Tra le prime richieste, la rivalutazione delle pensioni, sulla quale i sindacati chiedono il ritorno alla rivalutazione piena delle pensioni, oggi bloccata.

Un argomento sul quale i sindacati sembrano essere intransigenti, perché occorre cambiare il meccanismo che Lega e Movimento 5 Stelle hanno introdotto ad inizio 2019 e che è più svantaggioso rispetto al precedente. Sindacati alla carica quindi, dopo un inizio di rapporti con governo che sembrava idilliaco, adesso si rischia lo scontro che potrebbe costringere i sindacati a passare dalle parole all'azione, confermando la manifestazione unitaria in calendario per il 16 novembre prossimo.

La rivalutazione della discordia

In pratica, è l'indicizzazione delle pensioni, cioè l'adeguamento delle stesse al tasso di inflazione quello che può essere considerato il pomo della discordia tra governo e sindacati. In questi giorni la rivalutazione delle pensioni è tornata di attualità nelle case di molti pensionati, perché l'Inps sta mandando lettere in cui chiede la restituzione delle somme percepite nei primi 9 mesi dell'anno ai pensionati a cui non è stato ancora applicato il nuovo meccanismo di indicizzazione come la scorsa legge di Stabilità ha previsto.

Il primo governo Conte produsse questa riforma del sistema di adeguamento delle pensioni che adesso i sindacati vorrebbero cancellare. Il 1° gennaio 2019, senza la novità del governo giallo-verde, doveva entrare il meccanismo a tre fasce che avrebbe seguito questo schema:

  • Per le pensioni di importo inferiore a tre volte il trattamento minimo (da 1.522,26 euro al mese), rivalutazione 100%;
  • Per gli assegni sopra 3 e fino a 5 volte il minimo (fino a 2.537,10 euro al mese), rivalutazione 90%;
  • Per le pensioni sopra le 5 volte il trattamento minimo, rivalutazione del 75%.

In pratica, solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo ci sarebbe stata la rivalutazione piena all'aumento dei prezzi (se per esempio tasso di inflazione 1%, aumento delle pensioni 1%)

Con le modifiche del governo di inizio 2019, solo la prima fascia è rimasta inalterata, con indicizzazione piena.

Da tre fasce si è passati a 7 e più aumenta la pensione meno favorevole è il sistema per i pensionati. Lo schema che i sindacati vorrebbero depennare dal nostro ordinamento, fermo restando che il trattamento minimo 2018 era pari a 507,42 euro, segue la tabella seguente:

  • Pensioni sopra 1.522,26 e fino 2.029,68 euro al mese (sopra 3 e fino a 4 volte il minimo), rivalutazione 97%;
  • Pensioni sopra 2.029,68 e fino 2.537,10 euro al mese (sopra 4 e fino a 5 volte il minimo), rivalutazione 77%;
  • Pensioni sopra 5 e fino a 6 volte il trattamento minimo, rivalutazione 52%;
  • Pensioni sopra 6 e fino a 8 volte il minimo, rivalutazione 47%;
  • Pensioni sopra 8 volte il minimo e fino a 9 volte, 45% di indicizzazione;
  • Pensioni di importo più elevato, rivalutazione del 40%.

Il ritorno al vecchio sistema produrrebbe aumenti di pensione più rilevanti man mano che sale l'assegno del pensionato.

Il lavoro del tavolo della trattativa di domani si annuncia piuttosto complicato per questo aspetto. In effetti il ritorno al passato cagionerebbe un aumento di spesa per le casse statali. Basti pensare che il meccanismo introdotto dal primo governo di Giuseppe Conte solo nel 2019 ha prodotto un risparmio di 253 milioni di euro. Le previsioni dell'allora governo per gli anni a venire, confermando il suo meccanismo, avrebbero consentito di recuperare altri 742 milioni nel 2020 ed 1,2 miliardi l'anno successivo. Soldi che in una manovra già di per sé complicata, dove le risorse sono poche, potrebbero essere un ostacolo arduo da superare per i sindacati che spingeranno verso le loro istanze.