I sindacati oggi sono attesi dal terzo tavolo di discussione col governo. Dopo il primo del 27 gennaio sulla pensione di garanzia giovani ed il secondo del 7 febbraio sulle rivalutazioni, oggi si parlerà di flessibilità in uscita. Questo è senza dubbio l'argomento principale, perché occorre trovare una soluzione per superare sia la riforma Fornero che lo scalone di quota 100. Probabilmente è su questo tema che le posizioni al tavolo di discussione sono diametralmente opposte. Il governo punta a misure a basso costo, aumentando l'età pensionabile di quota 100 e riducendo gli assegni pensionistici come importo.

I sindacati invece propongono misure sicuramente popolari come la quota 41 o la pensione anticipata a 62 anni, ma assai costose. Sul sistema di calcolo delle Pensioni infine, i sindacati sono molti radicali nel non considerare accettabile imporre un ricalcolo contributivo ai pensionati. Lo dimostra un recente studio dell'Osservatorio previdenziale della Fondazione Di Vittorio, che dipende dalla Cgil. Uno studio che dimostra ciò che subirebbero i pensionati con il calcolo contributivo delle pensioni.

Tagli imponenti con il ricalcolo

Oggi nel summit con i rappresentanti di governo, le parti sociali rimarcheranno nuovamente la loro contrarietà al ricalcolo contributivo delle pensioni. Questo tipo di calcolo degli assegni previdenziali è alla base per esempio, di quota 102, una delle ipotesi di riforma a cui pensa il governo.

Nel dossier della Fondazione Di Vittorio si mette in luce il fatto che molti pensionati potrebbero perdere una grande fetta di pensione se davvero dovessero optare per il ricalcolo contributivo a fronte di qualche anno di anticipo di pensione. Un taglio tanto più grande quanti più anni di versamenti sono antecedenti il 1996.

C'è il concreto rischio di perdere il 30% della pensione. Un taglio evidente che può arrivare ad 80.000 euro in una intera vita, se si tiene conto della vita media delle popolazione che è di 82 anni.

Pensioni di cittadinanza più alte

Ezio Cigna, responsabile della direzione previdenza pubblica della Fondazione Di Vittorio ha commentato ciò che lo studio ha prodotto.

Un lavoratore con carriera stabile e retribuzione altrettanto lineare, con uno stipendio di 23.000 euro annui, potrebbe rimetterci il 30% di pensione se decidesse di uscire a 64 anni, accettando però di farsi liquidare tutta la pensione con il metodo contributivo, pur avendo svariati anni di versamenti, antecedenti l'entrata in vigore del sistema (dal 1° gennaio 1996). Inoltre, il taglio abbasserebbe molte pensioni a lavoratori che hanno carriere discretamente lunghe. Basti pensare che si potrebbe arrivare ad erogare a lavoratori con 36 anni di contributi una pensione da 732 euro, cioè più bassa persino della pensione di cittadinanza, che è una misura assistenziale.