Per la serie BlastingTalks, intervistiamo Carola Adami, career coach, head hunter e co-founder di Adami e Associati. La società è specializzata nella ricerca e selezione di personale qualificato, sia in Italia che all’estero. È attiva nel campo della ricerca di personale al fianco di multinazionali, Pmi e studi professionali offrendo servizi di HR recruiting.

BlastingTalks è una serie d'interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Partiamo dai valori alla base del vostro modo di operare nel settore delle risorse umane: in che modo vi differenziate rispetto agli altri operatori?

Per quanto riguarda i valori a cui noi teniamo molto, abbiamo inserito un codice etico all’interno del nostro sito e seguiamo una prassi consolidata e in continuo sviluppo. Mi soffermo su questo perché c’è sempre il rischio di predicare bene e razzolare male. Abbiamo lavorato molto al fatto di condividere dei valori etici, ma allo stesso tempo ci impegniamo per fare in modo che non rimangano cristallizzati, per portarli nella realtà quotidiana. Non è facile perché c’è sempre il rischio operativo e quotidiano di optare per la scorciatoia nelle interazioni.

Però devo dire che negli anni abbiamo fatto dei passi da gigante da questo punto di vista, cercando di essere coerenti con i nostri valori.

Può spiegarci perché per voi questo punto è cosi importante?

Non è una questione solo aleatoria, ma nell’ambito delle risorse umane si tratta di un elemento delicatissimo. Etica e serietà sono valori che ogni giorno devono essere rinnovati e rivisti.

Bisogna stare molto attenti e non pensare solo al proprio orticello, tenendo in considerazione anche il quadro più ampio. È una tematica a cui teniamo tantissimo, anche nella scelta dei clienti oltre che nella selezione dei potenziali candidati. Poi c’è da considerare che l’Italia non è il mercato anglosassone. In Italia, soprattutto oggi, chi perde il lavoro in certi ambiti e certe nicchie di mercato fa molta fatica a rimettersi in pista.

Non è detto che si trovi un’alternativa.

Quali sono i vostri principali settori di operatività e di competenza?

Siamo specializzati nel reclutamento del middle e top management. Tra i nostri settori operativi ci sono, tra gli altri, il luxury, l’engineering, il manufacturing, l’IT, il farmaceutico, il financial, il marketing e la parte sales.

Passiamo alla grave crisi dettata dal coronavirus: in quali settori la ricerca di personale ha subito maggiori conseguenze?

Sicuramente ristorazione e retail in primis. Diciamo che un po’ tutte le nicchie che noi seguiamo sono ferme. Per aggiungere un tassello in più, ci sono alcuni ambiti specifici che non restano bloccati come il digital, il farmaceutico, l’IT.

In questi settori le ricerche di personale non sono ferme, anzi continuano. Quello che però abbiamo notato è che il blocco delle assunzioni e il disinteresse per la selezione, almeno per quanto riguarda il primo lockdown, è stato proprio limitato a tale periodo. Perché non appena si sono aperte le porte, le aziende immediatamente hanno iniziato a selezionare. E su questa ripresa siamo stati sorpresi positivamente.

In generale, quali sono stati i cambiamenti che avete riscontrato dall’inizio della pandemia?

Lo smart working è stato coinvolto direttamente nella selezione, perché abbiamo notato che le aziende PMI in Italia prima di questo choc erano disinteressate all’ambito digital, tra cui anche lo smart working.

Dopo l’avvento del lockdown, improvvisamente le persone hanno iniziato proprio un cambiamento forzato di mentalità, rivedendo i loro pregiudizi e le loro credenze rispetto a queste tematiche. Così, hanno iniziato a pensare a nuove formule di collaborazione e anche al tipo di figura da inserire in azienda, figure che fino a qualche mese non erano prese in considerazione.

L’emergenza sanitaria ha comportato l’applicazione di regole sul distanziamento sociale e a un cambio di paradigma nella gestione delle risorse umane: qual è stato l’impatto sul vostro modo di lavorare e quali strategie avete messo in atto per rispondere alla crisi?

Già in precedenza ci differenziavamo dai nostri competitor per la parte digital, proprio perché abbiamo uno spirito molto digitale.

Quindi già prima, ad esempio, alcuni step dei processi di selezione erano gestiti unicamente in modo dematerializzato. Mi riferisco in particolare alle video call e a tutto ciò che riguarda il rapporto con i candidati in maniera telematica. Ultimamente l’interfaccia è diventata completamente telematica, sia durante il lockdown che nell’intermezzo. Per cui tutti gli step e le formule d'interazione con i candidati sono gestite interamente tramite call e video. Poi è chiaro che in precedenza solo i clienti multinazionali avevano un simile approccio.

Quindi possiamo dire che sta avvenendo un cambiamento di mentalità anche in Italia?

In Italia l’imprenditore o il top manager tipicamente non ne voleva sapere di fare videocall, anche nel caso in cui le organizzazioni alle loro spalle erano di tipo complesso.

In particolare la Svizzera, il mercato tedesco ma anche la Francia erano già abituate alle videochiamate; finalmente anche in Italia si sta sviluppando questa cultura e ci si sta rendendo conto che l’approccio non rappresenta un minus. Con tutta questa tecnologia si ha quindi la possibilità di approfondire molto di più il rapporto con il candidato.

Se dovesse dare un consiglio a coloro che si trovano a cercare lavoro in un momento così delicato e difficile come quello attuale, cosa suggerirebbe con il fine di riqualificarsi e migliorare il proprio portafoglio di competenze?

Per prima cosa, i candidati se vogliono accedere a un nuovo lavoro devono assolutamente poter dimostrare buone competenze digitali, a prescindere dal proprio ruolo.

Ad esempio, se sei un CFO e pensi che le competenze digitali non ti competono stai sbagliando. È un consiglio valido in ogni tipo di settore, soprattutto ora che c’è stata una generale accelerazione verso la digital transformation. Pertanto il primo suggerimento è d'investire energie e tempo nello sviluppo di digital skills. In secondo luogo, occorre metterle a frutto in prima persona migliorando l’immagine online, quindi tutto ciò che riguarda il personal branding è fondamentale ed è una delle carte assolutamente da giocarsi. Oggi per i candidati è importante anche concentrarsi sul farsi trovare, ricorrendo a un accurato e completo profilo Linkedin.

E dal punto di vista della gestione del video colloquio?

Una cosa che nessuno fa è di mostrarsi fin da subito a proprio agio con le tecnologie di video conferenze. Si vede subito quando sei molto rigido, molto acerbo a livello digital. Ad esempio, è fondamentale organizzarsi un piccolo setting per l’incontro in video call. Con ciò intendo la necessità di curare il background e il fatto che tante volte appena c’è un piccolo problema (ad esempio alla connessione wi-fi) vediamo candidati cadere nel panico, dimostrando d'ignorare le fondamenta delle competenze digitali di base. Anche come ci si muove dietro alla videocamera è importante, perché non tutti sono capaci di settare il video. L’ideale consiste nel prepararsi una piccola area della casa dedicata a questo scopo.

Un’ultima cosa è la luce. Il volto durante una videochiamata dev’essere illuminato e non all’ombra. E questo anche per la questione del quadro psicologico, perché ricordare una figura in un determinato contesto di luce fa la differenza.

Infine, dal vostro particolare punto di osservazione, cosa possiamo imparare da questa crisi per diventare maggiormente resilienti? Quali opportunità è possibile cogliere in un momento così complesso e difficile?

Bisogna utilizzare questa difficile fase per sviluppare maggiore apertura mentale. Io ho l’opportunità da anni di lavorare con altri paesi, anglosassoni, di lingua tedesca o nordici, e mi sono sempre accorta che in generale i dipendenti hanno una mentalità molto più aperta, sono molto più open mind e non hanno paura a tirare fuori le idee.

Invece in Italia il collaboratore medio è una persona che tende a essere abbastanza introverso e un pochino succube della mentalità verticale padrone - collaboratore. Secondo me questo può essere un momento molto costruttivo per ciascuno di noi, anche se richiede uno sforzo. Quando le situazioni sono così instabili e non sai come finiranno, certamente è richiesto uno sforzo. Però, come in tutte le cose difficili, se ci analizziamo, se ci facciamo delle domande… ci possono essere sviluppi interessanti. Questo lavoro ci potrà portare, ad esempio, verso una maggiore autostima. Un fattore alla base di qualsiasi progressione di carriera e anche della semplice soddisfazione rispetto al proprio lavoro. L’autostima, a parità di competenze, fa tanta differenza.