Più flessibilità con una pensione attiva. È la proposta di Tommaso Nannicini in vista della riforma delle Pensioni del 2021 per provare ad andare avanti oltre la quota 100 e "le sue iniquità" nella direzione di un pacchetto di provvedimenti che salvaguardino i lavoratori più deboli e promuovano l'invecchiamento attivo della popolazione. In aggiunta a una proposta che rimane ancora sul tavolo del governo in vista della ripresa dei tavoli già annunciati dal ministro del Lavoro Nunzia Catalfo per il primo semestre del nuovo anno: quella della quota 92, già contenuta nel disegno di legge A.
S. 1010 del 2019 a firma, tra gli altri, dello stesso Nannicini.
Pensioni: superamento quota 100 dal 1° gennaio 2022, Nannicini boccia la quota 102
Con il termine della sperimentazione della quota 100, a partire dal 1° gennaio 2022 i lavoratori prossimi alla pensione, in particolar modo i 62enni con 38 anni di contributi, si troveranno di fronte allo "scalone" dei cinque anni che li separa dalla pensione di vecchiaia o dalla pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di contributi versati. La necessità di una riforma delle pensioni spinge dunque verso un intervento strutturale in materia previdenziale, soprattutto perché l'attuale sistema "non è equo tra generazioni - in quanto secondo Nannicini scarica i costi solo sulle generazioni più giovani - e non è equo all'interno delle generazioni", date le fragili tutele a fronte di un'età di uscita che aumenta sempre di più quando non si ha un lavoro o quel lavoro diventa gravoso.
In questo scenario, il dialogo che dovrà avvenire tra le parti sociali nei primi sei mesi del 2021 per arrivare a una vera riforma pensionistica dovrà portare a misure non estemporanee. Si parla di quota 102, ma per Nannicini "non siamo ai saldi, non si sente il bisogno di una quota 100 in miniatura che non risolverebbe i nodi strutturali e scontenterebbe tutti".
Riforma pensioni, ultime novità: con quota 92 in uscita anticipata i lavoratori svantaggiati
E, pertanto, l'idea di riforma delle pensioni di Nannicini si basa essenzialmente su due misure universali: una prima riguardante una "pensione attiva" per i lavoratori la cui uscita per la pensione può essere considerata una scelta; la seconda è la quota 92, una misura non più di scelta ma piuttosto di necessità, strutturale e a favore dei lavoratori rientranti nelle fasce più deboli, come disoccupati, persone con disabilità e loro familiari e impiegati in mansioni gravose.
Quest'ultima proposta andrebbe a rendere strutturale il meccanismo che attualmente è in vigore in forma sperimentale perché confermato annualmente dalla legge di Bilancio, compresa l'ultima del 2021: l'Ape sociale. Tuttavia, l'età di uscita verrebbe abbassata di un anno rispetto ai 63 previsti per l'anticipo pensionistico sociale in presenza di almeno 30 anni di contributi versati.
Pensione attiva, la novità della riforma pensioni 2021: convenienza lavoratori in part-time
Tuttavia, rispetto alla quota 92 l'idea di riforma che rappresenta una novità rispetto alle ipotesi che si sono fatte negli ultimi mesi per superare la quota 100 è quella di una pensione attiva e flessibile. Si tratterebbe di stabilire regole per un meccanismo che consenta un pensionamento graduale a partire da un'età prestabilita e un'uscita da lavoro non netta come avviene attualmente.
Al lavoratore verrebbe concessa la possibilità di passare gli ultimi anni di età attiva continuando a svolgere il suo lavoro in forma part-time, ma con uno stipendio netto pari all'85% di quanto percepiva precedentemente a tempo pieno. Per l'impresa il costo del lavoro si dimezzerebbe: infatti, insieme alla metà dello stipendio erogato dal datore di lavoro, il lavoratore riceverebbe nel cedolino l'equivalente dei contributi complessivi e del Trattamento di fine rapporto. I benefici del part-time si riverserebbero, per il lavoratore, anche a lungo termine: infatti, una volta uscito da lavoro, il contribuente avrebbe una pensione più alta di quella che avrebbe ricevuto se fosse andato in pensione senza passare dal part-time, maggiorata di circa il 3% per ogni anno di lavoro parziale in virtù di coefficienti di trasformazione più alti in corrispondenza di un'età anagrafica più avanza di uscita.