Sono trascorsiquasisei mesi da quella sera del 2 marzo 2015 in cui l'assemblea dei soci,deliberando sulla decisione per il revamping, optò per quello che fu definito il piano B2, ovvero la dismissione degli impianti di termovalorizzazionea favore della fabbrica dei materiali e dell'impianto di trattamento anaerobico dell'umido. Il carro dei vincitori si popolò allora di personaggi più e meno noti: comitati di protesta, esponenti politici locali e oratori di quartiere, provenienti da aree sociali e politiche atavicamente opposte, mossi dal comune pensiero che finalmente si sarebbe risolto il problema dell'inquinamento attraverso una gestione dei rifiuti alternativa.
Fu così che a seguito diquel 52% di voti contrari il C.d.A. di Accam S.p.a. si dimise, favorendo l'insediamento del nuovo organo societario, composto da membri scelti proprio in funzione di quella maggioranza ottenuta in sede di votazione. Fin qui tutto bene, o meglio, tutto normale visto che la democrazia aveva aver fatto il suo corso. Peccato che, come spesso avviene, la ricerca del consenso si sia basata su una campagna mediatica e di convinzione sociale basata esclusivamente sulla critica di ciò che era ed è tuttora esistente, senza prendere seriamente in considerazione cosa avrebbe significato, in termini reali, seguire l'alternativa proposta nel piano B2.
A distanza di quasi 6 mesi, infatti, rimangono ancora irrisolti alcuni fondamentali quesiti per i quali il neo C.d.A.
necessita risposta: Dove sorgerà la nuova fabbrica dei materiali? Quali parametri dovranno essere considerati nella realizzazione delle nuove infrastrutture in considerazione del bacino di utenza?Quali comuni saranno disposti a sottoscriverecontrattidi servizi pluriennali, necessari alla convenienza dei nuovi investimenti, a tariffe solo stimate?La Newco si farà oppure la raccolta rifiuti resterà divisa causando non pochi problemi gestionali nel momento del conferimento?
Comerealizzare un piano di fattibilità che non rimanga fine a se stesso, data la presenza di tutte queste variabili aventiun peso elevato nelle stime degli aspetti patrimoniali nonché sui costi e ricavi a regime?
L'idea di una nuova entità a ridotto impatto ambientale che possa sostituire l'attuale impianto rimane ad oggi per gli attivisti del "no revamping" solo un'idea intrigante quanto utopistica.
Intanto, mentre ancora non è stata definita la location che dovrà accogliere le nuove infrastrutture, gli stessi Comuni soci, nel tentativo di coprire l'immobilismo post vittoria, affollano la stampa locale con dichiarazioni al veleno verso ilC.d.A. scelto da loro stessi, pretendendo un riscontro che non potrà non essere approssimativo, sulla fattibilità dei nuovi impianti.
Il clima di incertezza sul futuro della società, alimentato dall'incapacità di raggiungere un accordo già solo sul luogo in cui l'azienda dovrebbe spostare la propria attività, lascia intanto analoghi dubbi e serie riflessioni sulla salvaguardia della situazione occupazionale dei dipendenti di Accam S.p.a., che hanno finora invano cercato di ottenere rassicurazioni sulla possibilità di essere assorbiti nell'organico dei Comuni soci qualora si verificassero quelle condizioni di non operatività aziendale.
Nonostante gli stessi comitati di protesta abbiano cercato di portare i dipendenti dalla loro parte attraverso lettere ammiccanti, dove hanno inteso escludere situazioni di stallo occupazionale, resta una responsabilità morale e sociale di coloro che hanno promosso il cambiamento fornire, oltre a tutte le altre, anche una soluzione in tal senso.