A Natale siamo tutti più buoni. O forse no, a giudicare da cosa accade a Milano. La zona è quella del Duomo, vero e proprio cuore della città. Qui, la sera del 20 dicembre si è svolta una manifestazione, l’ennesima. E fino a qui non ci sarebbe neanche notizia. Ma il motivo, la causa scatenante, è degna di nota e di riflessione.

Non siamo i vostri capi di sfruttamento

Queste le parole stampate sui volantini che i manifestanti distribuivano senza parsimonia. Espressioni forti e decisi, per fare presa su chi era lì intorno, per arrivare più facilmente all’obiettivo principale: il governo.

Il sottotitolo non lascia dubbi: “No all’alternanza scuola lavoro! No jobs act! Io non ci sto!!”. Chi lo ha scritto, chi protesta, chi urla la propria presa di posizione decisa e implacabile, sono studenti e studentesse, per lo più milanesi, ma che portano alla ribalta situazioni e progetti di cui sono protagonisti (o, nella loro visione, vittime) gli studenti di tutto lo stivale.

Si proclamano come futuro del Paese, e non si può dar loro torto. Nonostante le uscite non sempre felici di alcuni esponenti della classe dirigente (ultimo caso le parole del ministro del lavoro Poletti), i giovani sono il capitale più importante che l’Italia sta sperperando, in un periodo in cui la crisi rende più rare le speranze e più facile la fuga all’estero.

Si dicono consapevoli del fatto che l’istruzione sia fondamentale per un futuro degno di questo nome, ma si presentano restii ad accettare il progetto che la scuola italiana ha stilato per loro, e portano motivazioni per non sembrare, come disse in tempi non sospetti l’ex ministra del lavoro Elsa Fornero, dei ‘choosy’, che in inglese significa schizzinosi.

Motivo della protesta

Oggetto di discussione è la riforma della scuola varata dal governo Renzi. A gran voce gli studenti espongono come essa comporta per gli studenti dalle 200 alle 400 ore di lavoro, ovviamente non retribuito, in sostituzione alle normali ore tra i banchi. Il Ministero dell’Istruzione ha firmato un accordo con multinazionali, tra cui MacDonald's e Zara, per ‘sfruttare la manodopera’ (oppure agevolarne l’acquisizione di esperienza, dipende dai punti di vista) di 27mila ragazzi.

Così viene scritto sui volantini.

Particolare punto di protesta si è rivelato non l’impiego di per sé (anche se non sono mancate definizioni non proprio eleganti di lavori di commessi e magazzinieri, in un modo un po’ da choosy, qui sì), ma il datore di lavoro presso cui svolgere queste ore di impiego, ritenute in ogni caso non adeguate ad alcun programma scolastico dai manifestanti. Nel concreto, sono piovute, a voce e scritte sui volantini consegnati, aspre critiche contro Zara, sul modus operandi di questa multinazionale (con informazioni di validità tutt’altro che inappellabile) e sul suo proprietario, Amancio Ortega, che gli studenti vedono come ultimo nella classifica di chi avrebbe bisogno del loro impiego gratuito, portato alla stregua di una beneficienza.

È solo uno dei numerosi di casi di scontro tra i giovani italiani, ovvero il futuro in tutto e per tutto della nostra società, e il governo, ovvero l’organo che dovrebbe garantire un presente sereno e un avvenire brulicante di speranze proprio a quegli studenti etichettati in passato come bamboccioni, sfigati, mammoni, choosy appunto. Intendiamoci, vi sono certo i casi in cui gli appellativi elencati sono degni e più che meritati. Ma il fatto che le proteste da parte degli effettivi più preziosi della nostra popolazione non cessano deve portare a qualche riflessione nella nostra classe dirigente. E quale occasione migliore del Natale, quando si è tutti più buoni. O forse no…