Ormai l'Italia, grazie allepolitiche scellerate e alle leggi contraddittorie presenta un quadrocontraddittorio che da solo sfiducia anche il più favorevole degli ottimisti.Molti cittadini, pur di uscire dalla morsa della crisi e di trovare unasoluzione alla propria situazione lavorativa si mettono in proprio, non importain quale settore ma autonominandosi capi di se stessi ci si dovrebbe sentirepiù responsabili e più agili nel destreggiarsi in questa torre di babele che èil mercato nostrano.

La crisi del lavoro ha cosìdeterminato nell'ultimo biennio, da una parte una ondata di licenziamenti edall'altra un incremento dell'apertura di nuove Partite IVA.

Al momento ammontano a circa 549mila in più. Ciò significa che sia "apprendisti" sia ex lavoratori dipendenti,hanno deciso di lavorare autonomamente divenendo artefici della propriafortuna.

Ma conviene davvero mettersi in proprio?Dal punto di vista organizzativo si deve rispondere solo a se stessi, si lavoracome, quando, dove si vuole e ci si fa pagare quanto si vuole (ammesso chedall'altra parte ci sia qualcuno disposto a corrispondere il richiesto).

Tutto okay dunque? Nemmeno persogno: dopo l'apertura di una partita iva nascono i problemi quali i costi, percosì dire "sommersi": non tanto quelli dell'apertura, visto che l'assegnazionedel codice numerico, è gratuito, ma quelli relativi alla previdenza socialeobbligatoria, ossia l'INPS, a quelli dell'assicurazione Infortuni (INAIL) e lealiquote da versare allo Stato per le percentuali sul reddito presunto.

Sìperché a seconda della categoria di partita Iva, il cittadino, secondo loStato, deve "per forza" guadagnare quanto è stato deciso dagli Studi diSettore. Un'altra trovata del tutto idiota che stabilisce anzitempo che setaluni colleghi guadagnano un tot la media vale anche per te che magari muoridi fame!

Ma torniamo all'INPS, quelfantastico istituto che eroga le pensioni striminzite alla maggior parte deiconcittadini e paga stipendi da nababbi al Presidente e ad altri dirigenti.

Lealiquote contributive per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione SeparataINPS, già di per se elevate, subiranno ulteriori aumenti sino al 33,72% nel 2018. A conti fatti che lametà dei guadagni andranno a questo istituto, senza contare poi la tassazioneai fini delle imposte sui redditi delle persone fisiche (l'acronimo è IRPEF!).

Perspiegarsi meglio ecco un esempio: il lavoratore autonomo del 2018 iscritto allaGestione Separata, con guadagno annuale di 20 mila euro, dovrà rimettere 6744euro all'INPS (ossia il 33,72%), poi dovrà anticipare al fisco 4.800 euro per l'IRPEF (con aliquota progressiva del 27% su20 mila euro). Qualche altro spiccio (almeno 1500 andranno nelle cassedell'INAIL). Cosa rimane all'intrepido lavoratore autonomo che è andato asfidare il mercato arruolandosi nel "club delle partite Iva"? La "faraonica"cifra di circa 7.000 euro all'anno, che tradotte in reddito mensileequivalgono pressappoco a 583 (abbondanti) euro al mese! C'è poco da scialare e da dipendenti si guadagna di più senza rischi!

Ecco spiegato come e perché moltiitaliani rinunciano a lavorare (scommettono da soli per poter contare solo su unterzo di quel che producono faticosamente) e si stanno dedicando al "tac" il "tiramo a campà" o al"black working" (lavoro nero) dove quel che si percepisce (pochi, maledetti esubito) appartiene solo a chi se lo procura con tanti saluti ai vampiri distato!