Non sono mai stato un appassionato di corse ciclistiche, sbagliando, lo consideravo uno sport individuale, sono sempre stato più affascinato e portato a guardare gli sport di squadra, tipo il calcio, il rugby, il baseball, il football americano, il basket, insomma, quegli sport che presuppongono la creazione di quel meccanismo e quell'unione d'intenti che poi diventa squadra. Poi, un pomeriggio noioso, nel nulla assoluto che da tanto ci propone la tv, ecco che mi fermai su un canale che trasmetteva una corsa ciclistica. Mi ero fermato solo perché ricevetti una telefonata e andai a rispondere, senza di questo sarei passato oltre con il telecomando.

Un amico aveva avuto un incidente e si stava organizzando una visita in massa in ospedale, si trattava di fratture in entrambe le gambe e a un braccio, ma poteva finire peggio. Chiamai questo mio amico, ero seduto sul divanetto, il telecomando era sul tavolo, lontano dalla mia portata, anche se fissavo la tv, ero come perso nei miei pensieri. Anche se lui era impossibilitato a rispondere, la moglie o qualche parente poteva rispondermi e, infatti, mi rispose Pina. Alla fine tutto si era risolto per il meglio, se l'era vista brutta, moto disintegrata completamente, ma gli era andata bene.

La mente era ritornata serena, tutto stava ritornando a marciare nella solita direzione, ma mi trovai incantato a guardare quell'omino pelato, dalle orecchie a sventola, che pompava pedalate su quella bici, in una salita abbastanza ripida.

Era Marco Pantani. Il viso la diceva lunga sul grande sforzo che stava facendo, eppure il ritmo che teneva era costante. Non ricordo che corsa era, se il Giro d'Italia o la Vuelta o il Tour de France, so che vedere la sua ostinata determinazione mi tenne attaccato alla tv. Da quel giorno seguii quella corsa a tappe, da quel giorno cominciai ad ascoltare quello che dicevano i telecronisti e da quel giorno capii che era errato il mio convincimento, il Ciclismo non è uno sport individuale, ma di squadra.

Mi entusiasmava quel pelato, quando si alzava sui pedali e cominciava a darci dentro, raggiungendo e lasciandosi dietro, apparentemente senza sforzo alcuno, quei pochi ciclisti che aveva davanti, era un piacere vederlo e saperlo italiano. Tifavo Pantani, non in maniera sfegatata, ma tifavo per lui. Poi il valore di ematocrito sopra il consentito, i sospetti di doping che nel mondo del ciclismo la faceva da padrone e il marcio che cominciò a uscire, mi allontanarono, come spettatore, da quel genere di manifestazioni.

La passione era scemata adesso, ma guardando spezzoni di alcune corse, ecco che seppi della storia di Lance Armstrong, ciclista su strada americano, era stato assente dal ciclismo per qualche anno, gareggiava contro Pantani, anche lui ciclista su strada, e per questo non lo conoscevo granché. Venire a conoscenza della sua corsa primaria, quella della lotta contro un cancro ai testicoli, lo fece diventare il mio idolo nel ciclismo, dopo tutto quello che si era scoperto su Pantani e sui trucchetti usati per vincere le corse, vedevo in lui il ciclismo pulito. Ma non era così. Circolavano da tempo notizie che lo vedevano implicato nel doping, nulla d'ufficiale però, poi nel 2012, L'USADA (United States Anti-Doping Agency) ufficializzava la decisione di squalificarlo a vita, togliendogli tutti i risultati sportivi ottenuti dal 1998 in poi.

Nel 2013, durante un'intervista, il texano ammetteva per la prima volta di aver fatto uso di sostanze dopanti sia durante il periodo in cui vinse i suoi sette Tour de France, sia durante il periodo precedente al cancro. Da quel giorno il ciclismo non mi appassiona più, da quel giorno il ciclismo, nel mio animo, ha la stessa valenza di sport che ha il curling, con quello che tira una pietra e due che, con degli scopettoni, spazzano il ghiaccio. Però ieri, vedere il trionfo di Vincenzo Nibali nel Tour de France, mi ha fatto battere il cuore d'orgoglio nazionale. Spero che Vincenzo sia pulito, ma ho paura nel rallegrarmi troppo.