Da sempre, quando c'è penuria di qualcosa crescono i prezzi, mentre quando c'è sovrabbondanza i prezzi scendono. Così dovrebbe valere per il mercato del lavoro e, avendo troppi lavoratori senza lavoro, giovani o anziani che siano, dovremmo abbassarne il prezzo. Ma come si fa ad abbassare il prezzo del lavoro regolare? Guardiamo le componenti di questo prezzo, che sono essenzialmente 3: salari o stipendi, contribuzioni e assicurazioni sociali, oneri vari. Consideriamo che i salari e gli stipendi, al netto dell'imposizione fiscale, sono già mediamente bassi e non si possono toccare; gli oneri vari rappresentano una selva che non può essere disboscata rapidamente; restano i contributi.

La contribuzione previdenziale standard, destinata alle pensioni, che le aziende pagano per i lavoratori subordinati è pari al 33% della retribuzione ed è, chiaramente, altissima pur non essendo del tutto sufficiente a pagare le pensioni che sono invece mediamente basse. Evidentemente c'è qualcosa che non torna, ma il problema è troppo complicato per essere risolto rapidamente. Invece, quello che si può fare subito è abbassare i contributi sociali del lavoro, con tutta l'approssimazione legata all'urgenza, ma con la serena coscienza che, come in tutti i casi di necessità, se si fa qualcosa per affrontare e superare una contingenza stringente, incidendo su un bene supremo, sempre che questo bene non sia la vita, poi si dovrà rimediare.

Peraltro, anche in questo caso si potrebbe far leva sulla libertà contrattuale, a livello aziendale o a livello individuale, per superare il vincolo della legge in base al quale si debbono versare tutti i contributi dovuti, ma non si può versare più del dovuto, e consentire che si possano anche versare contribuzioni aggiuntive, volendo e potendo, per reintegrare il peculio contributivo.

Inoltre, abbassare le contribuzioni sociali e renderle uniformi per qualsiasi tipologia farebbe venire meno la inconcludente diatriba su lavoro subordinato, parasubordinato, autonomo e renderebbe la scelta del lavoro subordinato, che oggi costa di più delle altre tipologie di lavoro, meno faticosa, oltre che più funzionale allo scopo, non privilegiando le altre tipologie anche in base al loro minor costo.

Tutto ciò parlando di lavoro regolare, perché in nessun caso può essere vinto il confronto con il lavoro irregolare, che non paga nessun costo, ma per contrastare il quale occorrerebbe una seria mobilitazione, anche sociale. A parte il fatto che, con tutte le banche dati che abbiamo, il contrasto al lavoro irregolare sarebbe molto più facile di quello che sembra. E poi lo sanno tutti dove si collocano questi fenomeni.