Evidentemente nessuno ha mai detto al signor Juncker che, se si impiega una forma discorsiva negativa, gli ascoltatori sono inevitabilmente portati a pensare il contrario, come nella classica formula dell'elefante rosa. Così, se il signor Juncker ci dice che non è il presidente di una banda di burocrati, non possiamo fare a meno di pensare che lo sia e che lui sappia di esserlo e, forse a livello inconscio, se ne vergogni pure; in proposito è indicativo proprio l'uso del termine "banda". Eppure noi sappiamo che, a parte tutte le schematizzazioni o demonizzazioni, burocrazia non è una parolaccia: la burocrazia è un modo di organizzare gli uffici, specialmente gli uffici pubblici, che risponde ai particolari schemi della funzione o servizio pubblico nell'ambito dei quali non è importante soltanto ciò che si fa ma anche, se non soprattutto, come lo si fa, seguendo procedure rispondenti a regole prestabilite e controllabili nel loro svolgimento.

Peraltro sappiamo che, per quanto possa essere necessaria, ogni burocrazia può giungere a configurarsi come una casta autoreferenziale e può usare le regole stabilite senza rendersi nemmeno conto di quanto possano essere superate, di quanta inefficienza possano determinare e, alla fine, di come danneggino gli interessi che dovrebbero proteggere. E, nel caso dell'Unione Europea, si possono facilmente riscontrare tutti questi fenomeni degenerativi. Tuttavia il principale responsabile della situazione, anche in questo caso, non è l'arrogante capobanda dei burocrati, ma è la politica latitante. Una politica doppiamente latitante sia per la architettura barocca della governance europea, sia per la condizione - derivata dai trattati - in cui dei burocrati, pur scelti attraverso una trattativa tra gli Stati membri e ratificati da un Parlamento ectoplasmatico, danno ordini ai governanti eletti veramente.

Allora, forse è arrivato il momento di porre in discussione questa architettura, questa burocrazia e le persone stesse, con azioni politiche e giuridiche, non con semplici battute. Perché, mentre l'Italia è sempre attaccata, anche per nostra colpa, non essendo capaci di mantenere gli impegni e di attivare le opportune azioni correttive, sia per tutti i barocchismi delle nostre governance, sia per la incontrollabilità della spesa pubblica, nessuno parla degli scostamenti tedeschi.

E non soltanto gli impeccabili burocrati europei, vestali della legalità comunitaria, non fanno nulla ma nemmeno parlano dell'eccesso di avanzo nella bilancia dei pagamenti della Germania, che pure è espressamente menzionato tra i famosi parametri di Maastricht, sebbene per esso vi sia un limite doppio rispetto al 3% del deficit. Neppure una letterina, anche senza la firma della Banca centrale europea. Niente di niente. C'è un tempo per tacere, ma c'è anche un tempo per parlare e forse è arrivato.