La frittata è fatta. Per la sconfitta con l'Uruguay l'Italia è stata eliminata dai mondiali di calcio.

Alla faccia di giornalisti, commentatori, giocatori e tifosi che, dopo la partita con l'Inghilterra, si sono sperticati in entusiastici pronostici di probabile vittoria del titolo di "campione del mondo".

Una delusione, l'eliminazione al primo turno, certamente non paragonabile alla sofferenza per la morte, nello stesso giorno, di un giovane tifoso di Napoli. Eppure, per certi aspetti, i due fatti non sono così lontani.

La morte di Ciro Esposito fa riflettere sull'infimo livello a cui è arrivato il calcio che, per la mole di interessi in gioco, da sport popolare si è trasformato in teatro di violenza costante ed irrefrenabile, in un enorme carrozzone di denaro, di vacuità e di vanità; da elemento catalizzatore di sane passioni a vergognoso circo, con mediocri protagonisti.

La sensazione, al cospetto del pianeta del pallone, è quella di essere di fronte ad una congegnata pantomima in cui politici, organi preposti, giornalisti, tecnici e giocatori recitino, a turno, la loro parte, secondo copioni preordinati e precostituiti.

Da una parte, ad ipocrite iniziative di beneficenza, a vuoti attestati di affezione alla maglia e/o alla patria da parte dei giocatori, si aggiungono ingiustificate esaltazioni giornalistiche di presunti (e pompati) talenti; dall'altra, sempre di più, si vedono giocatori tatuati, ricchi di orpelli, monili e tricomedici cerchietti, esibizionisti di costosi status symbol (si pensi, per es., alla quantità di rolex rubati ai loro polsi, negli ultimi tempi), più adatti a vanitose soubrette che ad atleti.

Da un lato, vi è un circo mediatico sempre pronto a salire sul carro del vincitore, a "spolpare finchè ce n'è" per poi, altrettanto velocemente, scendere e spingere nel fango quando "non ce n'è più"; dall'altro, continua il reclutamento di giovani che, per il solo fatto di saper giocare a pallone (spesso neanche tanto bene) vengono catapultati, con tutte le loro vanità e fragilità, in un circuito seducente, ma molto difficile da reggere per la loro maturità.

Forse, è proprio dagli aspetti appena citati che occorrerebbe ripartire per un'autentica rifondazione della Nazionale. Meno vizi e più applicazione, meno concessioni e più regole, meno denaro e più impegno per la causa, meno privilegi e maggior sacrificio. Più professionalità tra giocatori, dirigenti e giornalisti e meno sovraesposizione e celebrazione.

Ingredienti, questi, ormai ineludibili per la rigenerazione di un sistema calcio che, tra connivenze ed eccessi, vizi e condizionamenti politico-economico-mediatici appare sempre più l'ombra di uno sport. I risultati, d'altronde, sono sotto gli occhi di tutti: mondiali che, sino ad ora, a parte rare eccezioni, hanno espresso una qualità di calcio mediocre; una nazionale italiana tra le squadre peggiori.

A quando la presa di coscienza dei tifosi? Sempre che, di quelli veri, come quelli di un tempo, ne esistano ancora.