Quando si parla di una serie come American Horror Story si rischia sempre di cadere nel banale o di farsi sfuggire l’argomento da mano. Ormai siamo giunti al quinto anno e possiamo dire che la formula creata da Ryan Murphy è più che riuscita: Hotel, il nome di questa stagione,rasenta la perfezione e strizza l’occhio al cinema americano di genere.

Si, perché appena entrati nell’Hotel Cortez, il luogo protagonista di quest’anno, non si può non respirare l’aria di shining. Ma, proprio come un film di Tarantino o un episodio della serie cinematografica Scream, di volta in volta American Horror Story saccheggia e celebra al tempo stesso iconici film del genere thriller/horror, creando un mix affascinante e appassionante, capace di ingabbiare anche il cinefilo più incallito.

La storia

Hotel è la quinta stagione della serie antologia American Horror Story e questo permette a chi non l’ha mai vista di cominciare a vederla anche se non ha ancora recuperato le stagioni precedenti. Questa volta, come da sottotitolo, siamo in un Hotel (il Cortez per la precisione) nel centro di Los Angeles. Un luogo creato agli inizi degli anni Novanta da James Patrick March, un magnate americano con il vizio dell’omicidio. Egli creò l’albergo in modo da poter uccidere le sue vittime senza lasciare traccia e questa caratteristica pare sia rimasta impressa nell’architettura dell’Hotel a tal punto che si comincia a popolare di spiriti maligni, vampiri e personaggi piuttosto strani.

Nonostante il momentaneo abbandono di Jessica Lange, padrona di casa della serie, che pare abbia deciso di stare per un attimo dietro le quinte, il cast risulta ben amalgamato.

Perfetta Sarah Paulson nel ruolo di una tossicodipendente melanconica in cerca di un senso alla sua dipartita e buone anche le performance delle star d’eccezione quali Lady Gaga (la Contessa) e Naomi Campbell, che risultano credibili e ben inserite nella squadra.

American Horror Story: Hotel basa la narrazione sulle relazioni tra i personaggi.

Il padre che perde il figlio, la madre che non riesce a capacitarsi della tossicodipendenza della sua creatura, marito e moglie che stanno per divorziare. Un gioco di relazioni che diventa protagonista episodio dopo episodio fino a quasi oscurare i misteriosi e paurosi eventi che ogni giorno avvengono nelle lugubri stanze del Cortez.

Cosa non va?

In questo turbinio di emozioni ciò che non convince è l’accostamento tra l’horror puro e il genere thriller (ispirato a Seven e Resurrection). L’indagine che il detective John Lowe, un altro ospite del Cortez, sta svolgendo risulta semplicemente un pretesto che servirà a tirare le fila della narrazione alla fine della stagione. Sarebbe stato utile trovare un’idea più originale invece di un assassino che uccide secondo uno schema basato sui vizi capitali, già visto e ritrito. Sarebbe bastato anche solo sporcare lo stile di un noir più cupo, una scelta che avrebbe permesso ai due filoni narrativi di amalgamarsi meglio.

In definitiva American Horror Story continua il suo favoloso cammino aggiungendo un nuovo e importante tassello che fa completamente dimenticare il passo falso di Coven (terza stagione) e che allo stesso tempo celebra gli anni Novanta e il cinema di genere come mai prima d’ora.