Come riportato nell’edizione del 4 Agosto sul quotidiano “il Sole24Ore”, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha presentato lo studio dei costi della flessibilità in uscita che dovrebbe essere una misura inserita nella prossima Legge di Stabilità. Lo studio, oltre a stabilire il costo dell’APE, il prestito pensionistico che il Governo intende lanciare per rispondere proprio alla necessità di flessibilità del mondo del lavoro, ha prodotto la sintesi di quello che sarebbe la spesa statale per le altre proposte di riforma Pensioni depositate, quella di Damiano e quella di Boeri.
Ecco cosa ha detto al riguardo il Presidente della Commissione Lavoro che è tornato a ribadire come sia assolutamente fattibile la sua idea.
Per Damiano qualcosa non va nei conti dell’UPB
Che l’APE sia più economica per il Governo, non è certo una sorpresa, questo pensa il Ministro Damiano. Non può essere messo in discussione il fatto che le altre proposte, la sua e quella di Boeri su tutte, prevedano un esborso maggiore per lo Stato. L’APE è poco appetibile per i lavoratori di oggi e per i futuri pensionati perché il prestito pensionistico spacciato per una concessa flessibilità in uscita è a completo carico dei lavoratori che dovranno restituire la pensione una volta che finalmente la raggiungeranno, cioè con le regole della Fornero che resteranno le stesse.
Sull’APE il Governo dovrà coprire solo la rata a quei soggetti in condizioni particolari, come le invalidità o il disagio reddituale. Ecco perché paragonare l’APE alle altre proposte è sbagliato. L’ex sindacalista e Ministro sottolinea come se da un lato si trova d’accordo con quanto pubblicato dall’UPB circa il costo della sua proposta, dall’altro, bisogna dire che il costo è basato sul campione totale dei possibili pensionati in anticipo.
Cioè nel conto ci sono tutti i soggetti che potrebbero sfruttare il meccanismo di anticipo oggetto della sua proposta. Pensando questo si commetterebbe lo stesso errore fatto con Opzione Donna e per gli usuranti quando si immaginò richieste di uscita massicce, che poi nella realtà non furono tante.
Ecco perché si può adottare la soluzione Damiano
La flessibilità, secondo Damiano, è un istituto particolare e necessita di approfondimenti altrettanto particolari. Non si può certo immaginare che tutti i lavoratori decidano di uscire dal lavoro sfruttando l’anticipo, proprio per le differenze di posto di lavoro. Damiano fa l’esempio dell’operaio alle prese con i forni in siderurgia ed il docente Universitario: evidente che il primo sia più propenso a lasciare il lavoro prima rispetto al secondo, senza voler giudicare le rispettive attività, come anche il meccanismo dell’aspettativa di vita non può essere unico per tutti i lavoratori, proprio in virtù di una differente pesantezza del lavoro o di un maggior rischio.
L’UPB ha calcolato l’esborso in 3 miliardi di euro da spendere già nel 2017, mentre nel lungo periodo, fino al 2024, servirebbe un gruzzoletto di 8 miliardi. Per Damiano dunque, i 3 miliardi servirebbero solo se il 100% dei lavoratori che hanno 35 anni di contributi e che compiono 62 anni e 7 mesi nel 2017, scegliessero la quiescenza. Ipotesi che azzardata è dire poco, quindi già su queste cifre ci sarebbe da discutere. Inoltre, il soggetto di 62 anni che decidesse di lasciare anzitempo il lavoro, dovrebbe accettare una riduzione di pensione dell’8% (il 2% annuo), cioè una mensilità all’anno, molto per qualcuno ma poco se si pensa all’APE che pare arrivi a ridurre la pensione anche del 30%. Secondo Damiano poi, il risparmio in termini di pensione che l’Inps deve al pensionato in anticipo, sarebbe superiore a quanto in più dovuto a chi optasse per restare al lavoro fino alla fine.
Nel giro di pochi anni, calcolando i benefici del turnover e del ricambio generazionale che si innescherebbe, il costo della sua proposta si azzererebbe ed anche Bruxelles non potrebbe non dare il suo benestare.