Il clamore occorso dalla recente pubblicazione, su Charlie Hebdo, di alcune vignette satiriche riguardanti il terremoto in Italia, pongono l’attenzione sulla reale valenza della satira e la conseguente libertà di espressione. Lungi dall’esprimere un giudizio di merito o morale, sebbene a detta di molti possano ritenersi offensive, oltraggiose e a dir poco schifose, riteniamo che la satira rivesta un ruolo fondamentale con la sua componente corrosiva con cui denuncia e tende alla ricerca del paradossale. Come dicevano i latini: “Castigare ridendo mores”.
E’ indubbio che sono cambiati i fenomeni, ma i sistemi linguistici mantengono una tradizione di cui abbiamo un valido esempio in A. Pazienza. Ciò che è cambiata è la frenesia del visibile, che ci conduce a iperrealizzare il contenuto rappresentato, fino a farlo nostro fin nel profondo, in maniera consapevole e/o inconsapevole.
Un fatto è certo: l’opinione pubblica italiana ha riscoperto la satira, suo malgrado attraverso le vignette di Charlie Hebdo. Per lungo tempo, dimentichi di riviste quali Frigidaire e Il Male, e della prolifera produzione di Andrea Pazienza, anestetizzati da tonnellate di trash tv, serie tv, cine panettoni, hanno scoperto quanto fosse potente il messaggio della satira.
Senza dubbio, riteniamo che un input positivo a questa riscoperta sia stato dato dalla pubblicazione, ad opera di Repubblica, di tutta la prolifera produzione del mitico Paz, a sessant’anni dalla sua morte.
Pazienza e la nascita di un nuovo linguaggio
Con le straordinarie avventure di Penthotal, ci regala i ritratti di Zanardi, Petrilli e Colasanti, la trasfigurazione di Sandro Pertini, il presidente partigiano, e di Marco Pannella.
La sua satira irriverente e fanciullesca è un pugno allo stomaco, arriva dritta al pubblico. Capace di creare un linguaggio nuovo, toccando argomenti scottanti, molesti, osceni. Droga, sesso, politica, traslati sul foglio di carta. Il tratto deciso, scarno, esprime una libertà che non è solo creativa, ma di pensiero. La sua satira, ingenua e caustica, ferisce molto più di una lama, perché la satira è questo che deve fare: puntellare, spronare, istigare alla riflessione.
Ed è proprio da questo punto di partenza che il senso critico dovrebbe muovere le coscienze. L’opinione pubblica che si indigna davanti ad un certo modo di fare satira, più o meno riprovevole, percepisce un attacco al proprio safe space, dove l’imperante moralismo e perbenismo, fa da scudo all’esercizio delle proprie attività, ritenendo la prospettiva di un’altra interpretazione dei fenomeni, lesiva del decoro e della morale. In sintesi, un altro e/o diverso punto di vista è considerato anomalo, attribuendo, ad esso un’accezione amorale e/o immorale. Le vignette di Charlie Hebdo, come quelle di Paz, possono non piacere o essere ritenute oscene, ma non è forse oscena la vista, nei trust video, di decapitazioni ad opera dell’ISIS, di cadaveri di bambini adagiati sulla spiaggia, di fosse comuni?
La messa in forma di un’azione, che trova nella satira, come nel disegno utilizzato, il suo paradosso, risponde alla natura intrinseca dell’interpretazione dei fenomeni. Se fossimo stati scevri dal pregiudizio e/o dal giudizio esclusivamente morale, avremmo potuto leggere il reale tentativo di scardinare quell’afasia imperante, ponendoci come gli scettici antichi, sospendendo ogni giudizio sulla natura delle cose, derivata dalla inconoscibilità della realtà, alimentando un punto di vista discostato ed oggettivo. E allora, ben venga la satira, che scuote le fondamenta di una società poco avvezza al senso critico e sclerotizzata su una morale perbenista. La satira che utilizza fatti, eventi e fenomeni, capaci di diventare grimaldelli per scardinare la comune percezione della realtà.
Un dubbio lecito è che in Italia esista un buon numero di gente che, come sostiene Micheal Moore, abbia un cervello per comprenderla, evitando di gridare allo scandalo quando questa tratta argomenti “sensibili”.