Recentemente l'opinione pubblica italiana ha trovato altri spunti per la polemica e il chiacchiericcio infinito: la vignetta satirica di Charlie Hebdo sul Terremotodello scorso 24 agosto che ha colpito e devastato il Centro Italia. È giusto criticare il settimanale francese per la sua satira? Se proprio vogliamo fare polemica, perché non polemizzare sulle strutture costruite "secondo le norme antisismiche" e poi invece crollate? Ognuno ha la sua opinione in merito ed è giusto così. Qualcuno, prima di noi, ha lottato tanto per assicurarsi la libertà di opinione e di stampa, eforse dovremmo solo essere felici di poter sentire così tante opinioni, anche se alle volte ci sembrano senza senso o fuori luogo.
Ma ora: perché ci siamo arrabbiati tanto per queste vignette? Hanno deriso i nostri morti, non hanno portato loro rispetto, li hanno trasformati in piatti culinari. Sì, tutto vero. Trasformare i morti di Amatrice, Accumoli, Arquata, Pescara del Tronto in pietanze è certamente di cattivo gusto e irrispettoso, ma un'osservazione va fatta: che cosa ci saremmo dovuti aspettare da Charlie Hebdo? È un settimanale satirico, che ha costruito la sua fama sull'irriverenza e la sfacciataggine dei suoi disegnatori. Si è creato nemici nel mondo islamico deridendo i suoi "personaggi", tanto subire, più di una volta, degli attacchi terroristici. Noi ricordiamo quello del 7 gennaio 2015, quando due uomini armati di kalashnikov sono entrati nella redazione del giornale a Parigi e hanno fatto fuoco uccidendo giornalisti e nomi di spicco.
Ma quello non è stato il primo: nella notte fra l'1 e il 2 novembre 2011 la redazione è stata distrutta con bombe molotov e il sito web attaccato dagli hacker, giusto prima dell'uscita del numero dedicato alla vittoria del partito fondamentalista islamico in Tunisia. A scatenare la furia, una vignetta satirica con Maometto protagonista che dice "Cento frustate se non muori dalle risate" e il titolo del giornale trasformato in Charia Hebdo, gioco di parole fra Charlie e Shari'a, comunemente tradotto come "legge di Dio".
Possiamo dire che forse Charlie Hebdo ci sta simpatico finché non prende di mira "noi"? La satira, le battute, il gioco, va tutto bene finché vengono derisi gli altri; quando siamo toccati sul "vivo", su quello che ci fa o ci ha fatto male, non va bene.
Charlie Hebdo - basta sfogliare il sito online, o guardare le sue copertine su Google - deride chiunque e qualsiasi cosa gli capiti a tiro, infiammi l'opinione pubblica o diventi l'argomento principale della settimana.
Lo hanno fatto contro il mondo islamico, non una o due volte (quelle che sono passate "alla storia" ed entrate nella memoria di tutti), ma di più: chi si ricorda delle 12 vignette pubblicate dal danese Jyllands-Posten nel 2005 e poi ristampate un anno dopo sullo stesso Charlie? La sua satira è varia: dalla politica interna, a quella estera; dagli affari religiosi (di qualunque religione si tratti), alla battaglia per i diritti gay. E non importa se gli argomenti sono seri e meritano rispetto; per Charlie tutto è satira. Si può fare satira su tutto, tutto è lecito. È un loro diritto farlo e un nostro diritto indignarci, se vogliamo. Possiamo indignarci ora, come un anno fa ci siamo indignati perché dei liberi pensatori sono stati barbaramente uccisi per le loro idee.
Potevamo essere Charlie il 7 gennaio, l'8, il 9, e oggi sentirci in disaccordo col loro modo di fare giornalismo.
Si può dire che, nel caso di un terremoto devastante come quello del Centro Italia, avrebbero potuto portare rispetto per le vittime ed evitare la satira di fronte alla morte. Ma non l'hanno mai fatto, nemmeno di fronte ai "loro" morti, basta guardare le vignette create in occasione dell'attentato a Nizza. Ma poi: ci sono davvero i "nostri" morti e i "loro"? C'è davvero differenza se chi perde la vita è italiano, francese, siriano? Loro sono libera di fare satira. Noi di voltarci dall'altra parte e preoccuparci per qualcosa di davvero importante.