Bob Dylane il Nobel della discordia. Questo il titolo della puntata di Otto e mezzo, programma su La7 condotto da Lilli Gruber, andata in onda lo scorso 22 ottobre. Un titolo che offre lo spunto per affrontare un argomento molto attuale, nonché la vera origine di tutte le polemiche in merito, quello della contaminazione dei generi.

Ospiti della Gruber erano il poeta Valerio Magrelli, l'editorialista del Corriere della Sera Massimo Nava e il cantautore/poeta/insegnante Roberto Vecchioni. Puntata culturalmente interessante, nonché singolare stimolo a riflettere su quanto labile possa essere la classificazione delle arti e su come non si possa contare su una loro netta delimitazione.

Indicativa di ciò, la presenza dello stesso Vecchioni.

L'arte, un genio dai mille volti

L’arte, in tutte le sue forme, è per definizione una straordinaria fucina di materia emotiva, un genio che si riversa in molteplici forme diverse, ma tutte parimenti nobili.

La definizione dei ruoli conta fino ad un certo punto e potrebbe essere solo convenzionale. "All the world’s a stage" scriveva Shakespeare alludendo a come tutto il mondo sia un palcoscenico e gli uomini e donne attori con proprie entrate e uscite nella vita, in cui ognuno recita più parti.

Versi celebri per l’autenticità della loro essenza, utile a sottolineare come la recitazione sia la più alta sublimazione dell’espressione di umanità insita nel genere umano, ma anche e soprattutto, la poliedricità del singolo ruolo e la natura illusoria delle etichette e degli ambiti serrati.

La poesia, arte elitaria

Nel corso della trasmissione Magrelli riportava l’attenzione sulla poesia, sostenendo che Bob Dylan avesse un pubblico assai più vasto di Mario Luzi, a buon diritto.

Effettivamente, regina incontrastata del regno indiscriminato della parola, la poesiaè un’arte elitaria, con pochissimi adepti. Lo stesso poeta est semblable au prince des nuées, che, exilé sur le sol au milieu des huées,baudelairiana figura alienata, ses ailes de géant l'empêchent de marcher.

Ha con la terra e con gli uomini un rapporto complicato che si esplica nella profetica rivelazione di lettere addormentate, immobili e mute, che riposano nel tacito universo della scrittura.

Lo scopo della poesia

L’aura regale della poesia si identifica proprio con il suo ufficio profetico, consistente nell'invio di un messaggio che è spesso indicibile con le umane parole comuni.

Di qui, nasce la particolarità del linguaggio poetico, che si serve di codici specifici attraverso le figure retoriche.

Tuttavia, non è assolutamente trascurabile o secondario, che esso arrivi a destinazione e sia compreso da tutti, a causa del carattere elitario del genere.

Ai fini della fruibilità poetica, entra, così, in gioco il teatro, nel senso onnicomprensivo del termine, il suo secondo volto. Il vero dispensatore di poesia, infatti, non è tanto l’autore/poeta, quale profeta del messaggio, quanto, invece, l’attore/cantante/ballerino, interprete che se ne fa portavoce. Si tratta di colui che dà identità, forma e vita alla parola e la interpreta, reinventandola di volta in volta in base alle esigenze ricettive del pubblico.

Adempiendo, così, con successo, al vero scopo della comunicazione, quale scambio reciproco tra un mittente e un destinatario, il teatro, è un alter ego della poesia. Si tratta di due volti diversi, ma complementari di uno stesso genio, che trasborda dai contorni che definiscono la singola arte in modo serrato e si impossessa di tutte le varie identità che gli appartengono.