Annunciata come la serie evento che avvenne spadroneggiato negli ascolti e nelle opinioni fella critica The Young Pope la fiction creata e diretta dal 40enne regista napoletano Paolo Sorrentino ha mostrato tutti i suoi limiti di narrazione, che sono poi quello che i critici rimproverato al Premio Oscar de "La grande bellezza". la trama del film è a tutti nota: Lenny Belardo (Jude Law ) il primo Papa statunitense della storia assurge al soglio pontificio con il nome di Pio XIII. È frutto di un calcolo mediatico della Curia capitanata da sua Eminenza Guglielmo Voiello un cardinale partenopeo che sembra un Tanucci ecclesiastico.Pio XIII infatti ha ka stessa età del regista ed almeno nei sogni dei pensieri molto laici.
È bello e non fa due passi se non ha con sè l'amata Suor Mary (una grande Diane Keaton) che l'ha cresciuto. Il continuum narrativo è tutto intrecciato sal contrasto tra il "prete giocane", la Curia, l'opinione pubblica ed altri soggetti. È qui emerge il vulnus di Sorrentino che è un po quello della sua-nostra generazione, quello di credere che un'opera d-arte possa essere costruita solo con un estetisti musicale proprio - Lele Marchitelli - e con una fotografia - l'ottimo Bigazzi - figlia della mania caravaggesca dell'autore. Infarcire la narrazione di citazioni varie: dai Padri della Chiesa, ai filosofi, ai cantanti pop è sicuramente una gran cosa, ma senza un'idea narrativa valida sembra di stare più in un museo del rock che in una serie televisiva.
Il pubblico ha bisogno di storie che aiutino anche la propria storia ordinaria: in Sorrentino non ve n'è traccia. La serie avrà una seconda parte che il regista sta già girando, ma francamente noi aspettiamo la terza serie di Rectify per riappacificarci ad una serialità visuale narrativa. Ora capiamo anche l'ostilità di Sorrentino ad esperienze come "Fuocoammare" di Rosi: sembra che il Nostro abbia dei problemi a considerare il reale cronachistico. Per Sorrentino non esiste: c'è solo l'estetismo della Forma.